Sono alcuni mesi che ho ricevuto Viaggio nella presenza del tempo (Mondadori, pagine 423, euro 13,00), il libro totale di Giancarlo Majorino, il suo poema senza limiti e senza confini: versi e prosa, politica, idee, incontri, sogni, filosofia, appunti. «Questo straordinario poema, scritto dal 1969 al 2007, è l'opera più importante di Giancarlo Majorino, e sicuramente uno degli eventi di maggior rilievo della nostra poesia contemporanea», dice la quarta di copertina. Majorino è un autore che stimo e di cui ho scritto. È un poeta intelligente come ormai ce ne sono pochi. La categoria del poeta intellettuale, a cui lui appartiene, si è quasi estinta. Ma questo libro mi spaventa. Non riesco a leggerlo. Forse è colpa mia, forse il libro ha un "carattere difficile", chiede troppo al lettore, e non si fa capire. La totalità magmatica di narrativa, saggistica, poesia si presenta come una massa di appunti che testardamente rifiutano di prendere una forma più accessibile al lettore o alle sue abitudini.
Questo libro ha qualcosa di enigmatico. Somiglia a un enorme sintomo, a una sconfinata, incurabile patologia. È il corpo agonizzante di una poesia che vuole essere totale in assenza di ogni pensabile o esperibile totalità. È il rifiuto del poeta di trasformare i suoi appunti e frammenti in una forma letteraria abitabile, tollerabile, riconosciuta. Con ambiziosa modestia Majorino esemplifica la paralisi dell'immaginazione e della costruzione letteraria di fronte al mostruoso grigiore del mondo, un mondo pieno del suo stesso vuoto. Questo mondo ha però un enorme, indomabile inconscio biologico, un inconscio preumano e postumano, dove tutto è in metamorfosi. L'inconscio di questo mondo è così, in realtà, anche la fine di questo mondo, cosa che dà all'autore una scossa di allegria. Il poema della Milano impiegatizia, commerciale, bancaria, operaia, militante, manageriale, europea, è un poema globale senza forma né luce poetica, perché quella città e il mondo che riassume non meritano sublimazioni. Viaggio nella presenza del tempo è il poema impraticabile (fallito e riuscito) della vita lontana, dimenticata, quotidianamente amputata, eppure dovunque presente.
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