Il peccato contro la speranza - il più mortale di tutti - è forse il meglio accolto, il più accarezzato. Ci vuole molto tempo per riconoscerlo, e la tristezza che lo annuncia e lo precede è così dolce! È il più ricco degli elisir del demonio, la sua ambrosia.
È il protagonista, parroco di Ambricourt, del Diario di un curato di campagna, il famoso romanzo di Georges Bernanos (1936), divenuto anche uno stupendo film di Robert Bresson (1950), a metterci in guardia contro uno dei mali più sottili dell'animo. È quella tristezza che conduce alla disperazione. Certo, attorno a questa sindrome dello spirito si sono accaniti poeti, scrittori e psicologi, spesso con esiti ingannevoli: è facile, infatti, trasfigurarla in materia letteraria, ma chi ne è coinvolto sa quanto sia aspra e acre, quanto contamini la vita, quanto spenga la fede.
È così che questa malattia dell'anima viene definita dallo scrittore francese come "elisir del demonio", Sì, perché essa è paradossalmente capace di creare assuefazione e persino un perverso masochismo. Ci si adagia in essa quasi come fosse una droga, la si detesta e la si ama. È capitato a tutti di incontrare persone che, pur soffrendo, non vogliono essere aiutate ad uscirne, quasi fossero avvolte da spire che soffocano ma che non si respingono. Prende forma, allora, una desolazione, una tristezza che addormenta l'anima fino a renderla inerte ed è qui che si insidia satana, principio del caos, del nulla, del vuoto, della negazione. A quel punto, come Bernanos ricorda, è necessario che irrompa la grazia divina e che s'agganci all'ultimo anelito della volontà umana per ritrovare il gusto del vivere, dell'amare e dello
sperare.
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