Spero che non sia lontano il giorno in cui l'economia occuperà quel posto di ultima fila che le spetta, mentre nell'arena dei sentimenti e delle idee saranno protagonisti i nostri problemi reali: i problemi della vita, dei rapporti umani, del comportamento, della religione.A scrivere questa considerazione realistica è nientemeno uno dei più originali e famosi economisti inglesi, John M. Keynes (1883-1946), ed è un lettore di Pavia a ricordarmelo. Un amico sociologo spesso ironizza sulla disciplina che insegna anagrammando la parola "sociologia" in "ciò lo so già", svelandone una radicale debolezza e ovvietà. Lo stesso giudizio si è tentati talora di dare nei confronti di certe pagine scritte da teologi e da filosofi di taglio totalmente esoterico e oracolare: non di rado dietro quel fumo terroristico verbale ci sono idee abbastanza semplici e persino scontate che potevano essere dette in modo ben più trasparente e ugualmente rigoroso.Il rischio dell'astrattezza è, comunque, in agguato dappertutto e non solo nell'economia, nella politica o nella filosofia. Spesso si parla a vanvera di cose che non si conoscono se non superficialmente. Ci si lascia ingannare da discorsi pomposi ma vacui; si convoca a ogni piè sospinto l'"esperto" (si pensi all'imperversare degli psicologi in certi dibattiti televisivi) per sentirsi dire ovvietà ma in modo altezzoso e sontuoso. Ritornare con più "realismo" - senza cadere nella brutalità semplificatoria - ai "problemi reali" della vita di ogni giorno e alle vere domande è, dunque, necessario e da esigere.
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