Ieri Ferdinando Scianna, da Bagheria, ha compiuto 78 anni. Una vita da fotografo, cominciata negli anni Sessanta, con un esordio editoriale nel 1965 con il volume Feste religiose in Sicilia, introdotto da un saggio di Leonardo Sciascia. Da allora il giovane Ferdinando Scianna non si è più fermato, si è trasferito a Milano, poi a Parigi, diventando uno dei più grandi fotografi internazionali, il primo italiano a entrare nella mitica Agenzia Magnum. Per questo compleanno, Contrasto pubblica la nuova edizione di Autoritratto di un fotografo (pagine 208, euro 22,90), l'autobiografia aggiornata con il racconto degli ultimi dieci anni di vita e di lavoro di Scianna. La prima si chiudeva con una riflessione su Quelli di Bagheria. «Dicevo che quel libro sarebbe stato una forma di addio ai miei rancori sul mio paese e la Sicilia. Così non è stato, naturalmente. Questo tipo di addii non sono possibili. Ma forse quei rancori mi hanno aiutato a stemperarli con immutato amore», scrive adesso. Quel libro in qualche modo segnava l'inizio di un nuovo corso per Ferdinando Scianna, il «fotografo che scrive». Perché Quelli di Bagheria era la svolta di un «diverso impegno nella scrittura e soprattutto nella maniera di concepire i libri, con un nuovo, indipendente intersecarsi tra fotografie e parole. Un tentativo di diversa letteratura». Che è continuato dopo, negli ultimi dieci anni, in cui il fotografo ha fotografato con le parole, con i libri. «Ho fatto il fotografo per quasi sessant'anni, e l'ho fatto da reporter, mestiere fondamentalmente fisico. Quasi sportivo. Paolo Monti mi disse, e avevo ancora venticinque anni, che le fotografie si fanno con i piedi. Ho scoperto dopo molti anni quanto avesse ragione. Già dieci anni fa sapevo che quella vicenda si era per tanti versi conclusa. Non facevo quasi più fotografie e da allora ho praticamente dovuto smettere. Ma se la mia storia professionale era arrivata alla fine, non così, fortunatamente è accaduto per la mia vicenda esistenziale e per il mio rapporto con la fotografia. La cosa nuova, e che per molti versi mi ha cambiato la vita, è stata la pratica più intensa e meno giornalistica della scrittura».
Autoritratto, Bagheria, 1960 - © 2021 Ferdinando Scianna / Magnum Photos
Se i piedi non sono quelli di una volta, la testa e l'obiettivo ambiguo dei suoi occhi prendono la forma dei libri. Ed ecco scorrere le copertine di tantissimi volumi entrati nelle librerie di tutti gli appassionati: La geometria e la passione, Ti mangio con gli occhi, Visti&Scritti, Lo Specchio vuoto, Etica e fotogiornalismo, In gioco, Cose, Il viaggio di Veronica e tanti altri. Fotografie che si compongono come puzzle dal suo immenso archivio inseguendo un'intuizione che poi si fa scrittura, profonda e ironica. Con una attenzione al valore dell'oggetto libro e al senso della lettura. Come dimostra l'amicizia - «figlia di quella fraterna che per molti anni mi ha legato al caro Sciardelli» - e la collaborazione con Vincenzo Campo («che di Sciardelli si dichiara allievo»), siciliano anche lui, e la sua rara e preziosa casa editrice, Henry Beyle. Per i tipi di Campo ha pubblicato testi meravigliosi. «Per celebrare il centesimo titolo, in dieci anni, della casa editrice mi ha chiesto di pensare un libro - scrive Scianna -. Non poteva che essere un libro sulla lettura, sul leggere. È nato così Lettori, con mie fotografie raccolte in tanti anni ovunque ho trovato persone che leggono, nelle situazioni più disparate e nei diversi paesi dove ho viaggiato». Un omaggio ad André Kertész. Foto e parole per raccontare «questo meraviglioso vizio impunito, come qualcuno lo ha definito. Per me scoperta tardiva, poi diventata passione fondamentale».
Scianna scrive queste pagine sui suoi ultimi dieci anni di vita "letteraria" nel pieno dell'epidemia di Covid-19, che ha devastato il mondo. «Noi tutti abbiamo di fatto dovuto cercare un nuovo, difficile equilibrio per affrontare le carcerarie trasformazioni della vita quotidiana, il costante sentimento di pericolo e le inevitabili conseguenze psicologiche, l'allucinante corteo di morti, specialmente tra le persone nella mia fascia di età, e le varie ansie che hanno provocato». Così Scianna si è dedicato a quello che da anni pensava di dover fare: «Un radicale repulisti del gigantesco accumulo, soprattutto di carta» nel suo studio. Obiettivo andato in parte a buon fine. Ma poi è tornata ancora la scrittura a "salvarlo". «Ho cominciato a scrivere dei veri e propri racconti di memoria su tante faccende che continuavano a pormi domande e a darmi rimorsi. Ho scritto sugli anni cruciali della mia prima infanzia, sui difficili rapporti con mio padre, nodo mai davvero risolto. Su mia madre e la sua morte…». E poi idee. Nuove idee. Per riempire le due cartelle che stanno sul desktop del suo computer: "Progetti possibili" e "Progetti realizzati". Nel tempo c'è stato un sostenuto travaso da una cartella all'altra. «Ma la "cartella dei sogni" è sempre in movimento», confessa. E tanti sono i progetti pronti a passare di là. «Ho come l'impressione - conclude il fotografo - che ormai mi interessi più immaginare che vedere il risultato finale. Se continuo a progettare mi sembra di essere vivo. Il futuro diventa alla mia età sempre più ipotetico. Finora la pandemia mi ha risparmiato, ma gli anni e qualche nuova seccatura di salute continuano a estendere il territorio della fatica e delle impotenze. Ho avuto una vita molto interessante e fortunata, oso pensare persino meravigliosa».
Siamo certi che mentre scriviamo queste righe, un altro libro è pronto ad andare in stampa, un altro file sta passando dai "Progetti possibili" ai "Progetti realizzati". C'è anche un titolo ipotetico: Vicini Lontani. Per viaggiare ancora nella memoria e nello spazio. In quell'infinito fotografico che Scianna, quello di Bagheria, ogni volta ci regala.
Una foto, 938 parole e tantissimi auguri.