La fine dell'estate: l'ape morta,/ il freddo del mattino fra i capelli,/ l'altera solitudine del sole/ che rosseggia tra nuvole di ghiaccio./ S'allunga il sonno, il tempo si consuma/ con tremiti di foglie moribonde,/ con suoni di campane nella nebbia,/ con l'antico pensiero della neve.
Abbiamo lasciato alle spalle l'estate, le giornate si raccorciano, si sentono i primi brividi di freddo, le foglie si scolorano e volteggiano per l'aria e all'alba dai campi sale una nebbiolina che ovatta immagini e suoni. E' la sensazione resa in modo efficace da questi versi di un critico e autore teatrale molto apprezzato, Ugo Ronfani, versi desunti dalla sua raccolta Le rondini della notte (ed. Mauro Baroni). E' una poesia segnata da un senso di tristezza, di desolazione, di crepuscolo. Si tratta di sentimenti forti che pervadono tutte le pagine del volume, anche quelle "estive": «Lampi di vita, schegge di speranza/ farfalle che d'estate improvvisate/ danze di nozze prima di immolarvi/ alla luce».
Sentimenti a cui non siamo più abituati, immersi come siamo nella banalità, nella superficialità un po' stolta e un po' godereccia. Eppure dovremmo ogni tanto fermarci a guardare nel fluire delle stagioni lo scorrere esangue della nostra stessa vita, non per un malinconico estetismo e per un inerte scoraggiamento, ma per dare più contenuto e senso all'esistenza. Sarebbe suggestivo leggere, in parallelo a questa, un'altra poesia, quella del Salmo 90, che con fragranza e malinconia descrive l'esiguità della vita umana. Ma l'antico poeta biblico finisce con un duplice appello: «Insegnaci, Signore, a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore!" Rafforza per noi l'opera delle nostre mani!».
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