«Può l'urna istoriata, il busto che rievoca la figura umana/ richiamare al suo centro il respiro che fugge?». Domanda assoluta, che ognuno di noi ha vissuto, non importa se formulandola esplicitamente, di fronte a una tomba. Credente o non credente, colui che sosta davanti alla memoria impressa in due date e una fotografia, si chiede se qui, in questo mondo terreno, qualcosa permane di quell'esistenza, quella persona. Che ora la sua anima sia dissolta nel nulla, per chi non crede, o splenda nella luce dei Cieli, per chi come me crede, noi ci chiediamo, «Qui? Ora?». La storia culturale dell'uomo nasce da una simile domanda: i nostri antenatiche dipingevano le pareti delle caverne lo facevano per un istinto di sopravvivenza della specie. Gli scienziati che studiano l'origine dell'uomo sono loro continuatori: mostrano come ogni uomo in certo modo prosegua la sua vita terrena, negli altri che gli furono accanto e che verranno. Amore della specie, memoria. La poesia, alleata non ufficiale quanto fedele della scienza, si pone per la prima volta in forma esplicita questa drammatica domanda nell'Elegia del cimitero campestre di Thomas Gray. E risponde con un commosso elogio alla vita di uomini sconosciuti, in un piccolo cimitero di campagna. Amore della specie.
© Riproduzione riservata