Nel 1988, una ventina di giorni dopo il devastante terremoto in Armenia che avrebbe contato quasi trentamila vittime, fu estratto dalle macerie il corpo di una giovane donna abbracciata al suo bambino, un neonato ancora miracolosamente vivo. La madre, finito il latte, l'aveva aveva nutrito per giorni e giorni con il suo sangue, che faceva uscire dal suo corpo autoinfliggendosi morsi feroci alle mani e alle braccia. Fino a sfinirsi. Fino alla fine. Madre Teresa di Calcutta, le cui suore erano accorse in Armenia per dare una mano, raccontava spesso questo straziante episodio, per lei simbolico dell'eroismo e del senso della maternità.
Se c'è un'immagine capace di condensare l'essenza dell'amore è proprio quella di una donna con in braccio il suo bambino. Perché è l'icona insuperabile dell'amore assoluto, incondizionato, insuperabile e indivisibile di cui soltanto una madre, e nessun altro, è capace. Un amore istintivo, primitivo, che è viscerale prima che di cuore o di cervello, impossibile da sopprimere. E sì, certo, anche i padri amano i figli, e anche i nonni i nipoti, ma l'amore di una madre è diverso. Mi diceva una volta una dottoressa, impegnata in un reparto di malati destinati inevitabilmente a morire, ma ancora bisognosi di molta cura, che nella sua già lunga carriera aveva visto "scappare" da quella cruda, inesorabile realtà «mogli, mariti, figli, padri, ma mai una madre».
Così è l'amore di Dio, invincibile e assoluto, come Papa Francesco ci ha voluto ancora una volta ricordare qualche giorno fa nel breve discorso rivolto alla "Arché". Un nome, ha detto, «che richiama l'origine, il principio, e noi sappiamo che in principio c'è l'Amore, l'amore di Dio. Tutto ciò che è vita, tutto ciò che è bello, buono e vero viene da lì, da Dio che è amore, come dal cuore e dal grembo di una madre viene la vita umana, e come dal cuore e dal grembo di una Madre è venuto Gesù, che è l'Amore fattosi carne, fattosi uomo».
E allora, ha proseguito, «in questa logica, in principio ci sono i volti: per voi sono i volti di quelle mamme e di quei bambini che avete accolto e aiutato a liberarsi dai lacci della violenza, del maltrattamento. Anche donne migranti che portano nella loro carne esperienze drammatiche. Le vostre comunità accoglienti sono un segno di speranza prima di tutto per loro, per queste donne e per i loro figli. Ma lo sono anche per voi stessi che condividete la vita con loro; e per i volontari, i giovani, le giovani, le giovani coppie che in queste comunità fanno esperienza di servizio non solo per i poveri – cosa molto buona – ma più buono è con i poveri».
Del resto, ha detto ancora Bergoglio, «la Mamma col Bambino è un'icona tanto familiare per noi cristiani. Per voi non è rimasta solo un bel quadretto: l'avete tradotta in un'esperienza concreta, fatta di storie e di volti concreti. Questo significa certamente problemi, difficoltà, fatiche... Ma significa nello stesso tempo gioia, gioia di vedere che la condivisione apre strade di libertà, di rinascita, di dignità. Per questo vi ringrazio, cari fratelli e sorelle, e vi benedico perché possiate andare avanti finché il Signore vorrà». In questa epoca che viviamo, così tragicamente piena di violenza sulle donne e sui bambini, facciamo tutti tesoro di queste parole di Francesco. Farsi carico, ciascuno nel proprio piccolo mondo, di proteggere una madre col suo piccolo in braccio, è dovere di tutti. Non si può voltare la testa dall'altra parte.
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