I dazi sono ciò che più spaventa in campo economico della deriva trumpiana. Se il presidente tycoon farà anche solo parte di quanto minaccia, l’economia globale potrebbe fare i conti con un impatto sul Prodotto interno lordo dell’1,5%, ha stimato la Banca d’Italia. Ma è la tipica media del pollo: in Europa il conto sarebbe di un -0,5%, con Germania e Italia a subire i danni peggiori, vista l’altra propensione all’esportazione delle nostre economie; molto più pesante potrebbe essere l’impatto sull’economia statunitense, che potrebbe andare incontro a una penalizzazione pari al 2% del Pil. Sì, perché chi impone i dazi fa male anche a se stesso, con danni spesso peggiori di quelli recati a chi si intende punire. Proprio per questo in molti ritengono che tra il dire e il fare c’è di mezzo un gigantesco mare, e che alla fine si scoprirà trattarsi solo di una grande strategia negoziale.
In attesa di scoprirlo, c’è un altro pericolo che grava sulle nostre tasche. È nascosto per definizione, e per questo dovrebbe farci anche più paura dei dazi. Si tratta della crescente legittimazione delle criptovalute da parte dell’amministrazione americana, che - come abbiamo sottolineato qui su ZeroVirgola proprio all’indomani delle elezioni Usa - tra i suoi primi effetti ha avuto quello di far correre la valutazione della criptovaluta più nota, il bitcoin, dai 70mila dollari di inizio novembre fino oltre quota 100mila dollarie; oggi si è assestato poco sotto quella soglia, che prima d’ora non aveva mai sfondato. Ma cosa sono le criptovalute? Tecnicamente, sono rappresentazioni digitali di valore, usate come mezzo di scambio o investimento, che possono essere trasferite, negoziate o archiviate attraverso registri elettronici che tracciano le operazioni. In pratica un oggetto del tutto digitale, che ha molti pro e contro ma senza dubbio piace in particolare a chi opera nella tecnologia. È così che si spiega l’interesse di Trump e dei colossi tech che lo portano in palmo di mano, ed è sempre qui, però, che si annidano i rischi maggiori. Ci si è soffermato il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ieri all’Assiom Forex di Torino, l’appuntamento che ogni inizio d’anno vede incontrarsi gli operatori finanziari italiani. Molti i temi d’attenzione di questa fase, tra una contesto macroeconomico senza precedenti e la stagione di fusioni bancarie alle porte (si veda l’articolo nella pagina precedente), ma ciononostante l’attenzione si è concentrata anche sui cripto-pericoli che ci attrendono: «La probabile diffusione delle cripto dopo la rielezione di Donald Trump solleva una serie di interrogativi in Europa, soprattutto se i giganti tech inizieranno ad adottarle come strumenti di pagamento»,
ha detto Panetta. Non è uno scenario immaginifico: qualche colosso, come Paypal, ha già avviato sperimentazioni al riguardo, con una specie di gettone elettronico convertibile in dollari. Fin qui tutto bene. Ma «se questi mezzi di pagamento privati, facilmente integrabili in piattaforme commerciali con miliardi di utenti, dovessero diffondersi ampiamente, le conseguenze potrebbero essere rilevanti», ha sottolineato Panetta. Perché «gli istituti di credito commerciali rischierebbero di perdere una parte importante delle loro funzioni», ma soprattutto «le banche centrali si troverebbero a operare in un contesto in cui pochi soggetti privati, magari esteri, avrebbero un ruolo così rilevante da compromettere la stabilità del sistema». Eccolo qui, il rischio vero: la marginalizzazione di un altro pezzo fondamentale dell’architettura istituzionale che governa il globo, cioè le banche centrali. Altro che dazi. © riproduzione riservata

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