Trovo piuttosto inutili e noiose le perenni elucubrazioni dei commentatori politici su quello che i leader dei partiti faranno o non faranno fra sei giorni o sei mesi. Molto più interessanti sono le notizie, anche marginali, su quello che accade nella vita sociale. I partiti credono di guidare il carro della società; è invece la società con le sue aspettative e aspirazioni, i suoi umori e timori, a guidare i partiti costringendoli a fare previsioni sui prossimi comportamenti elettorali. La copertina dell'“Espresso” di domenica scorsa era dedicata a un bel tema, “L'altra politica”, quella che molti partiti ignorano o guardano dall'alto in basso. Dimenticano che se la politica sta solo in alto e non guarda in basso, la democrazia ne soffre e finisce per essere minacciata da due opposti pericoli: l'élitismo e il populismo, la politica dei professionisti e degli esperti e l'antipolitica delle maggioranze sfiduciate e rabbiose che non si sentono rappresentate nelle istituzioni. Mi viene in mente ancora una volta che il Sessantotto, ai suoi inizi e nelle sue tendenze più originali, prima di precipitare nell'imbuto del dogmatismo marxista e leninista, voleva ridefinire la politica. Fu il giovane sociologo Carlo Donolo, che aveva studiato a Francoforte con Jürgen Habermas, a pubblicare nel luglio 1968 su “Quaderni piacentini” il suo saggio La politica ridefinita. A distanza di mezzo secolo, quel tema resta attuale, se non di fatto almeno come esigenza. E' bene che nella società ogni tanto si senta il bisogno di inventare qualcosa di diverso fuori dai partiti, la cui capacità di percepire quanto accade nella vita quotidiana dei cittadini è sempre scarsa. Il fenomeno etichettato come “populismo” non è che la conseguenza naturale dei fallimenti della politica. Il reportage pubblicato dall'“Espresso” (a firma di Floriana Bulfon) è intitolato E noi ci autogoverniamo. Dalle periferie romane, Tufello, Garbatella, San Basilio, Quarticciolo, Quadraro vengono esperienze e voci che denunciano «l'assenza della politica» e dell'amministrazione cittadina, già da anni sostituita dalla partecipazione, collaborazione e iniziativa dei residenti, attivisti e volontari. Cercano di realizzare come possono «quello che le istituzioni non fanno», inventando una socialità locale che nel centro della città si è disgregata o non è mai esistita.
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