Benissimo in tutto il mondo, malissimo in casa. È la sintesi dell’evoluzione e della situazione del comparto agroalimentare italiano, stretto tra una congiuntura a più facce e un’obiettiva difficoltà economica delle famiglie. Così, se in tutto il mondo (o quasi) i prodotti del buon agroalimentare nazionale riscuotono sempre più successo, in Italia sempre più gente si vede costretta a “tirare la cinghia” o, almeno, a fare bene i conti della spesa. È il segnale inequivocabile della delicatezza del momento che uno dei settori più importanti della nostra economia sta attraversando.
A fare i conti della situazione è stato l’ultimo rapporto Ismea sull’andamento dei mercati e dei consumi. La sintesi dell’Istituto che monitora tutto il mercato agroalimentare è semplice: «Ai segnali di rallentamento dei consumi sul mercato domestico si contrappone un export in buono stato di salute».
In casa nostra cerchiamo di limitare gli effetti dell’attuale spinta inflattiva (oltre che, probabilmente, quelli di un’oggettiva difficoltà economica). «Il carrello della spesa secondo i dati NielsenIQ – riporta Ismea –, nel periodo cumulato da gennaio a settembre 2022, sta costando agli italiani il 4,4% in più rispetto allo scorso anno, con punte più alte nei mesi di agosto e settembre (+10,4%). L’aumento della spesa si mantiene su livelli inferiori rispetto al dato Istat sull’inflazione anche grazie all’alleggerimento del carrello delle famiglie italiane che registra riduzioni in volume in tutte le categorie, ma con percentuali differenziate dal -1% del latte fresco al -31% del pesce fresco». Detto in parole semplici: acquistiamo meno alimenti o, quantomeno, li scegliamo con maggiore attenzione.
Tutt’altra situazione, invece, viene rilevata in giro per il mondo. Sempre Ismea spiega che «nei primi otto mesi dell’anno, le esportazioni agroalimentari italiane hanno continuato a crescere in valore mettendo a segno un incremento tendenziale del +18%». A crescere con saggi a due cifre sono, per esempio la pasta (+33% valore, +7% quantità), le conserve di pomodoro (rispettivamente +25% e +11% quantità), i formaggi e i latticini (+22%, +13%), i prodotti da forno (+16%, +8%), i vini e spumanti (+14%, a fronte di volumi stabili).
È di fronte ad una situazione di questo genere che i coltivatori diretti chiedono più equilibrio lungo la filiera, oltre che nuove norme per il contrasto delle pratiche sleali di mercato, senza dire di quelle necessarie per constare l’aumento dei costi di produzione.
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