mercoledì 17 dicembre 2003
Tempo verrà/ in
cui, con esultanza,/ saluterai te stesso arrivato/ alla tua porta, nel tuo proprio specchio/
e ognuno sorriderà al benvenuto dell'altro,/ e dirà: Siedi qui. Mangia./ Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io./ Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore/ a se stesso, allo straniero che ti ha amato/ per tutta la tua vita, che hai ignorato" Come sempre, la poesia per essere gustata richiede una lettura pacata: in passato, anzi, ogni lettura dei testi scritti esigeva la pronuncia esteriore, così che le parole echeggiassero lasciando attorno a sé quasi un alone, un'eco interiore. Quelli che abbiamo citati sono versi della poesia "Amore dopo amore" del grande poeta Derek Walcott, il cantore dei meticci, nato in un'isola dei Caraibi, Santa Lucia, nel 1939. Come si intuisce, si uniscono e si sovrappongono due fisionomie diverse, la mia e quella dell'altro, lo straniero. Se nello specchio guardiamo il nostro volto, scopriamo in esso i tratti dell'umanità perché ad essa tutti apparteniamo, al di là delle differenze etniche, culturali, religiose. «Amerai lo straniero che era il tuo Io», dice il poeta. «Amerai il prossimo tuo come te stesso», dice la Bibbia. In questo parallelo c'è il fondersi di due amori, quello spontaneo per se stessi e quello per gli altri, spesso conquistato con qualche fatica ma che dovrebbe essere altrettanto intenso. L'appello di Walcott deve risuonare con vigore proprio mentre siamo alle soglie del Natale, la festa della fraternità dell'intera umanità in Dio. Dobbiamo tentare di ricondurre il nostro cuore "a se stesso", cioè alla sua coscienza profonda, e là scopriremo che c'è lo straniero dentro di noi perché egli è simile a noi a causa dello stesso Dio che l'ha creato, dello stesso Cristo che l'ha redento, dello stesso amore che è stato deposto in lui e in noi e dello stesso peccato che offusca noi e lui.

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