Spesso per spiegare Internet si usa la metafora dell'autostrada. A seconda di quanto paghiamo l'abbonamento e del tipo di strumenti che utilizziamo, i «caselli digitali» (i cosiddetti provider) ci fanno accedere all'autostrada con mezzi che ci permettono di correre (cioè trasportare i dati) più o meno velocemente.
Peccato che il 49% di persone nel mondo non ha alcun accesso digitale. E anche in Italia il 40% dei cittadini non ha Internet. Alcuni per scelta, molti per ragioni anche tecnologiche. Così chi paga e ha la fortuna di vivere in luoghi dove esistono certi servizi può usare nel migliore dei modi app, social e web, mentre gli altri arrancano o addirittura stanno fermi al palo.
Mercoledì in America si è svolto l'«Internet-Wide Day of Action to Save Net Neutrality», ovvero la giornata di salvaguardia della «neutralità» di Internet. La «neutralità» di cui si parla è stata implementata negli States nel 2015, ed è un principio generale che vieta ai fornitori di banda larga di fornire o vendere accessi a «Internet veloci» a determinati servizi rispetto ad altri. I fornitori di banda larga come AT & T Inc e Verizon Communications Inc vorrebbero invece la creazione di una nuova Rete internet a grande velocità da aprire solo ai servizi che potranno pagarsela perché quella attuale è troppo congestionata e non permette le velocità richieste da alcune aziende.
Si tratta quindi di una battaglia di libertà, come sostengono i Democratici americani. Ma anche di una battaglia economica perché aprirebbe un problema enorme nei conti di colossi del digitale ai quali fa molto comodo che Internet resti «aperta e democratica» e con costi «calmierati».
Non a caso, Facebook, Amazon, Netflix, Twitter e Google appoggiano la battaglia per la «neutralità della Rete». Uno degli slogan digitali apparsi mercoledì su ben 80mila siti coinvolti nella protesta recitava: «Trump vuole uccidere la neutralità della rete. Questo permetterebbe alle società di telefonia mobile e telefoniche di rallentare qualsiasi sito che non piaccia o che non pagherà di più».
È davvero difficile non essere d'accordo con l'idea che la Rete digitale che connette il mondo debba essere «neutrale», cioè aperta a chiunque alle stesse condizioni. Ma è inutile negare che già oggi non sia così. E non solo perché esistono abbonamenti diversi che offrono velocità diverse di accesso. Quanto soprattutto perché una parte dei colossi del web che oggi si schierano per la «net neutrality» non offrono ai loro «clienti» condizioni paritarie. Prendete Facebook. Due link a due articoli postati sul social più frequentato del mondo non vengono mostrati allo stessa percentuale di persone, ma ricevono trattamenti diversi a seconda di come chi li posta sia classificato dall'algoritmo di Facebook. Stessa cosa capita ai siti indicizzati da Google. A parità di «potenzialità» non ricevono lo stesso trattamento. Stessa cosa probabilmente accade ai prodotti venduti da esterni su Amazon.
Il che rende il problema ancor più grave e importante. Perché Internet non è solo un insieme di cavi o un'infrastruttura. La neutralità digitale va cercata, chiesta e pretesa anche da chi usa la Rete per offrire servizi.
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