Viviamo in un tempo che è malato di fretta. In cui tutto "deve" correre il più rapidamente possibile, quasi che la velocità sia il valore aggiunto capace di segnare la differenza tra ciò che "veramente vale" e ciò che invece no. Nessuno lo dice apertamente, è chiaro, ma tutti in realtà lo sappiamo; e chi non riesce a tenere il passo – perché debole, piccolo, anziano, straniero, malato, invalido – resta indietro, inesorabilmente. Andiamo talmente di fretta che neanche facciamo in tempo ad accorgerci di loro. Eppure, per colmo di paradosso, sarebbero proprio questi deboli, questi ultimi, a dover avere più fretta, semplicemente perché non possono aspettare, perché i loro bisogni sono urgenti, e hanno bisogno – anzi, avrebbero – di risposte sollecite. Così che la velocità è diventata uno degli elementi portanti di quella "cultura dello scarto" tante volte denunciata da papa Francesco, l'atteggiamento che porta a escludere, mettere da parte, espellere chi è diverso, chi non ce la fa.
Avremmo tutti bisogno di rallentare. Di spendere un poco del nostro tempo per guardarci attorno e vedere il "resto" del mondo. Ed è anche questo – anzi, proprio questo – che papa Francesco ci dice con le sue periodiche visite ai "piccoli", quasi sempre a sorpresa, non annunciate. Come quella che qualche giorno fa l'ha portato a «CasAmica onlus» di Trigoria, che assiste malati indigenti, e alla comunità «Il Ponte e l'Albero» al Laurentino 38, che accoglie giovani con disagi mentali. Perché, al di là dell'esercizio di un'opera di misericordia – un esempio che vale soprattutto per i credenti –, quel che tali gesti insegnano è il valore assoluto del dedicare un tempo privilegiato a chi invece di solito è ignorato o posto in secondo piano. Ed è un esempio che vale per tutti, credenti e non.
È questo che Francesco ci ricorda, così come allo stesso modo hanno fatto i suoi predecessori. Il prefetto Enrico Marinelli – fino alla fine degli anni Novanta per un ventennio alla guida dell'Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso la Santa Sede, seguendo passo per passo Giovanni Paolo II a Roma e in tutta Italia – raccontava come ogni volta che c'era in programma un incontro con i malati o gli anziani, i carcerati o i poveri, le previsioni sugli orari saltassero regolarmente, perché sembrava che «il Papa perdesse la nozione del tempo». E se qualcuno provava a far notare il ritardo, molto semplicemente lo ignorava. Lo stesso faceva papa Benedetto, che in particolare quando incontrava le persone anziane dimostrava – parlando alla prima persona plurale – come sentisse su se stesso il peso di un'emarginazione dettata da una società «dominata dalla logica dell'efficienza e del profitto... con la tendenza preoccupante a considerare gli anziani come non produttivi» e quindi inutili. «Tante volte si sente la sofferenza di chi è emarginato, vive lontano dalla propria casa o è nella solitudine», disse nel 2012 visitando una casa per anziani, ma «la sapienza di vita di cui siamo portatori è una grande ricchezza. La qualità di una società, vorrei dire di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune». E papa Francesco, che mille volte nelle più diverse circostanze si è fatto incontro, dovunque si trovasse, a un malato, a un povero, a un immigrato, si può dire che quasi ogni giorno trovi il modo per ribadire l'indispensabile urgenza di questa attenzione. Pensiamolo quando, la sera della vigilia di Natale, metteremo nel presepio il Bambinello, e capiremo perché il figlio di Dio è nato in una stalla nudo, povero e in fuga. Buon Natale!
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: