Gli scolari cerebrolesi mi sono rimasti dentro come eventi umani inauditi. Potrei citarli uno per uno ricordando la loro energia contagiosa: Vito che mi guarda fisso come se dovesse farmi un esame specialistico e poi mi chiede soltanto: «Dov'è il bagno?»; Gigetto che per salutarmi mi viene incontro con troppa foga e cade a terra ridendo; Salim, con le ginocchia sotto il mento, che mi aspetta all'entrata quasi fossi un mago; Eleonora, le dita rigide sulla tastiera mentre compone il tema che mi dovrà consegnare; Peppino, urlatore di professione, dovunque vada, la gente scappa; Elisa che cerca di scherzare sulla sedia a rotelle; Cuccureddu che alza la mano per chiedere all'operatore: «Mi vuoi bene?».
Ognuno mi ha lasciato un segno con la sua presenza bislacca, imprevedibile, ingombrante, mai scontata. Sono queste le piste che tu imbocchi e non sai dove ti conducono, magari hai anche paura di percorrerle, ti chiedi chissà cosa succederà, però lo fai lo stesso, spinto dal tuo istinto, poi ti guardi indietro e dici a te stesso: guarda un po', non credevo che sarei stato così contento! Come se queste persone ci avessero rivelato un segreto impossibile da comunicare. Un'emozione che soltanto chi sta vicino a loro può vivere e conoscere.
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