Sono in treno, uno dei più veloci che torni verso Milano. Siamo tre uomini ed uno di noi prende ossigeno da una bombola erogatrice del suo respiro supplementare. Quello mal respirante ha voglia di parlare ed anch'io che, solitamente in treno, imparo un sacco di cose dalle biografie condensate dei viaggiatori. L'asmatico racconta: «Facevo il portantino per autolettiga nella mia città. Lo stipendio era basso ma il peggio era che dovevo poi consegnarne la metà all'esattore della malavita. Emigrai in Svizzera, dove ho trascorso la vita intera. Ora sono in pensione ma ogni anno, ossigeno alla mano, torno al mio paese per andare sulla tomba del mio persecutore e guardarlo in faccia nella fotografia; lui abbassa gli occhi, io no». L'uomo tacque, l'altro era un suo corregionale, più giovane, non si conoscevano fra loro. Il giovane prese a scaldarsi progressivamente, sempre meno pacate le sue frasi, più acuta la voce e le due giugulari si gonfiavano di blu sui due lati del collo, dandogli l'aspetto di un tacchino che gloglottasse in attesa di beccare la preda. Ce l'aveva ostentatamente con chi parla male del proprio Paese d'origine, poi all'improvviso si alzò di scatto e se ne andò. «Vede», mi disse l'asmatico, «adesso ha constatato coi suoi occhi cos'è l'omertà».
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