Alle otto, il cielo era completamente azzurro sul Catinaccio: le cime rosa nel primo sole, i profili regali. I figli le guardavano, assorti, e la più piccola chiedeva: come sono spuntate? Così come io lo chiedevo a mia madre. Lei mi raccontava che nelle Dolomiti c'era, in un tempo immensamente remoto, l'oceano, e che le rocce erano fatte di conchiglie, di gusci e scheletri di creature marine. Io, sbalordita, cercavo di immaginarmi il mare primordiale, e straordinari pesci preistorici in acque trasparenti e pure. Ed ora, ripetevo le stesse parole. I figli, zitti: negli occhi il mio medesimo fantastico mare.
Pascoli sgargianti nei fiori di luglio poi, e mucche: per i bambini, ciascuna da chiamare per nome. Fragole, occhieggianti nel sottobosco, dolci e asprigne in bocca. Camminare sicuri, seguendo i segni bianchi e rossi del sentiero.
Si alzava una nuvola, piccola; e subito, rapide, nere, le sue sorelle, gonfie come vele di vascelli. Ci prenderà, il temporale? Al riparo di un fienile tremare ai tuoni, allo schianto delle saette, la bambina stretta addosso. Fradici, ridenti, infine tornare, mentre il sole si riaffaccia e brilla sui prati.
Ecco, in una stanza del mio paradiso deve esserci, intatta, una di quelle mattine. E, vergine, l'oceano sulle Dolomiti. Io voglio vederlo davvero.
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