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n Sardegna le campagne sono all’asciutto, ma l’acqua per irrigare finisce in mare. Così, in alcune aree agricole dell’Isola, la stagione irrigua rischia di non iniziare nemmeno. A sollevare un’altra questione di mala-politica idrica è ancora una volta l’Associazione dei consorzi irrigui (Anbi) che qualche giorno fa ha spiegato: «In Sardegna, mentre in alcune zone agricole si sta uscendo dall’emergenza idrica, in altre si applicano restrizioni, lasciando colpevolmente scorrere acqua inutilizzata fino al mare».
Il caso è quello del Campidano dove il Consorzio di bonifica della Sardegna Meridionale ha annunciato che l’irrigazione sarà ridotta al 70% dell’anno scorso. Anzi di più, si rischia di non iniziare nemmeno ad irrigare. Eppure l’acqua ci sarebbe, perché il lago Omodeo sul fiume Tirso ne ha in sovrabbondanza tanto da versarla, appunto, in mare, mentre altri bacini vicini (del sistema Flumendosa-Mulargia) sono in grave sofferenza con 200 milioni di metri cubi in meno rispetto al 2023. La soluzione? Portare l’acqua dal lago ai bacini con i tubi che sono stati messi decenni fa. Soluzione a portata di mano, dunque. Con un problema: servono soldi per far funzionare le pompe. Soldi che, a quanto pare, non ci sono. Si tratta, fanno sapere dal Consorzio, di circa sei milioni di euro all’anno che garantirebbero l’irrigazione di 7-8mila ettari che, a loro volta, potrebbero, tra prodotti e indotto, dare origine a oltre 100 milioni di giro d’affari, oltre alle ricadute sociali ed occupazionali.
Acqua in mare, quindi, e non nei campi per produrre cibo. «Realizzare le necessarie infrastrutture e rendere efficienti quelle esistenti deve essere un primo obiettivo della politica regionale per garantire acqua sia per l’uso potabile che per l’agricoltura, asse portante dell’intera economia della Sardegna», spiegano in Anbi ricordando che a far le spese dei mancati investimenti non sono solo le imprese agricole ma anche i centri abitati. Da qui la richiesta dei consorzi irrigui sardi: «Chiediamo alla prossima Giunta regionale di assumersi la responsabilità di colmare il ritardo infrastrutturale, che la Sardegna patisce da oltre trent’anni». Compito importante che, per molti versi, è comune ad altre Regioni italiane.
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