Santa Famiglia di Gesù, Maria
e Giuseppe- Anno A
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto (...) Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nella terra d'Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d'Israele (...). Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
Erode invia soldati, Dio manda un angelo dentro l'umile via dei sogni. Un granello di sogno caduto dentro gli ingranaggi duri della storia basta a modificarne il corso. Giuseppe nel suo sogno non vede, ma sente. Un sogno di parole. È quello che è concesso anche a noi: Dio cammina accanto alle nostre paure con la sua Parola, cammina con tutti i rifugiati, e con chi dà loro soccorso, con un sogno di parole, un sogno di Vangelo.
«Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto». Un Dio che fugge nella notte! Perché comanda di fuggire, senza garantire un futuro, senza segnare la strada e la data del ritorno? Dio non salva dalla sofferenza ma nella sofferenza, non salva dalla morte ma nella morte, non protegge dalla notte ma nella notte.
Per tre volte Giuseppe sogna. Ogni volta un annuncio parziale, una profezia di breve respiro. Eppure per partire non chiede di aver tutto chiaro, di vedere l'orizzonte, ma solo «tanta luce quanto basta al primo passo» (Henry Newman), tanta forza quanta ne serve per la prima notte. A Giuseppe basta un Dio che intreccia il suo respiro con quello dei tre fuggiaschi per sapere che il viaggio va verso casa, anche se passa per l'Egitto.
È la sua fede: io so che nel mondo comandano i più forti e i più violenti, so che Erode siede sul suo trono di morte, so che la vita è un'avventura di pericoli, di strade, di rifugi e di sogni, ma so che dietro a tutto questo c'è un filo rosso il cui capo è saldo nella mano di Dio. So che in ogni vita c'è un sogno di Dio che va lentamente incarnandosi.
So che tutto tende a separare, a sciogliere quel nodo germinale della vita che è la famiglia, ma so che Dio viene come gioia e come forza dentro lo stringersi amoroso delle vite, dentro gli affetti, nelle nostre famiglie. Un padre, una madre, un figlio: le sorti del mondo si decidono dentro una famiglia, nell'umile coraggio di una, di tante, di infinite creature innamorate e silenziose.
Giuseppe il giusto rappresenta tutti i giusti della terra, uomini e donne che, prendendo su di sé vite d'altri, vivono l'amore senza contare fatiche e paure; tutti quelli che senza proclami e senza ricompense, in silenzio, fanno ciò che devono fare; tutti coloro che sanno che «compito supremo nel mondo è custodire delle vite con la propria vita» (Elias Canetti). E così fanno: concreti e insieme sognatori, inermi eppure più forti di ogni faraone.
(Letture: Siracide 3, 3-7.14-17a; Salmo 127; Colossesi 3,12-21; Matteo 2,13-15.19-23)
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: