«L'assolutizzazione di ciò che non è assoluto, ma relativo si chiama totalitarismo. Non libera l'uomo, ma gli toglie la sua dignità e lo schiavizza». Con la chiarezza che in tanti gli hanno riconosciuto, Benedetto XVI ha definito con queste parole scolpite la natura del totalitarismo, «l'assolutizzazione del relativo». Ne abbiamo ampie attestazioni anche nella nostra epoca, senza andare a rivangare i tempi passati (fascismo, comunismo, nazismo…). Certe ideologie del consumo, certe visioni della persona, certi sguardi sul mondo assolutizzano qualcosa di relativo e lo mettono al posto di Dio. Eric-Emmanuel Schmitt, scrittore francese che altrove abbiamo citato, ce lo restituisce con parole taglianti nel suo Concerto in memoria di un angelo (e/o) quando scrive: «Delle sue varie attività - giocattoli, abbigliamento, gadget, pornografia - il merchandising religioso era quello che lo divertiva di più."Da quando la gente non crede più in Dio, è disposta a qualunque cosa! Astrologia, numerologia, pratiche new age, rinascita dei santi. Bisogna approfittarne"».
In questa denuncia, che riecheggia san Paolo e più recentemente Gilbert Keith Chesterton, riemerge la tentazione di farsi il proprio vitello d'oro invece che accettare il confronto con il Dio della vita, che chiama e interpella.
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