La pace nel mondo sta correndo dei rischi: e una minaccia, con un sostrato materiale storico ed economico, viene dal fanatismo religioso. Le cui manifestazioni non sono limitate a piccoli eccessi o intolleranze: possono risolversi in non sporadiche, talvolta cruente azioni di rottura, dalle ampie basi culturali. Né si tratta solo d'una differenza di credenze religiose che si fa aggressione del diverso. Forse, perché la cultura è vischiosa, continua a dolere la memoria dell'antico colonialismo; e pesa, assai di più, l'attuale malessere di due continenti: sono determinanti le estese, disperate plaghe di fame e morte, lasciate senza rimedi. Ma la forma che tutto ciò assume, nei suoi aspetti più virulenti e rischiosi, spesso è quella d'una contrapposizione di fedi: pretende di giustificarsi in nome del vero Dio. È una bestemmia? Sì, è anche una bestemmia: ma non basta chiamarla così. Bisogna trovare soluzioni che tocchino le radici profonde di questo male. E non si ottengono con le armi, dimostrano ripetute esperienze. Molto dipende dalle politiche internazionali di pace, ispirate ai valori della giustizia e dell'uguaglianza fra gli uomini. Ma giova anche l'amicizia, l'alleanza di coloro che, da una parte e dall'altra, vivono autenticamente la loro religione: nel nome dell'unico Dio.
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