Fratel Ugo aveva di me una stima così grande che interpretava il mio svaccamento come una mossa tattica, forse una specie di kenosis. Me ne stavo steso su una sdraio e centellinavo la seconda birra dopo il terzo bagno della giornata, aspettando il prossimo combattimento di insetti per gridare assieme agli altri tifosi. Ugo, seduto vicino a me, si sporse sul mio orecchio: «È la Prima lettera ai Corinzi: “Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli”. Confesso di non avere questo coraggio…». Non era poi così sicuro delle mie motivazioni. Sperava che avallassi l'accostamento con san Paolo, sperava in un cenno di assenso sul mio volto. Bevvi un sorso di birra e mi alzai per informarmi sulle quote degli animaletti che presto si sarebbero affrontati. La mantide religiosa era data per favorita, anche se la migale era piuttosto grossa. Puntai però sulla migale. Tutto ciò che portava il nome di religioso mi sembrava degno di sconfitta. Per le scommesse utilizzavamo piccoli sassi neri che permettevano di procurarsi alcol e carne, e perfino, tirandone fuori abbastanza, di diventare proprietario di un campione. Avevo già intascato un certo numero di quei sassi. Miravo all'acquisto di uno scarabeo-rinoceronte. Si diceva fosse molto promettente. Soprattutto contro le mantidi. Ugo, beninteso, parlava di liberazione. Forse mi scambiava per quel Mosé che ci avrebbe strappato a quel villaggio di vacanze. Lui stesso era Aronne. Il confort prodigato dalle Venidri gli sembrava peggiore della schiavitù d'Egitto. Ispezionava spesso la recinzione di filo spinato, cercandone il punto debole. Conversava con l'uno o l'altro dei prigionieri, evocando la possibilità di un'evasione. Inutile dire che le sue avances non trovavano eco favorevole. Non potendo proporre ai Gracidi di tornare alla loro ingiustizia, non aveva altra alternativa che incoraggiarli a lasciare un benessere sicuro per un avvenire sconosciuto, brulicante di incertezze e di pericoli. Quel benessere era avvilente, probabilmente, ma quanto potevano pesare sulla bilancia le tre sillabe della parola “dignità”? Presto sapemmo perché alcuni detenuti venivano portati via e poi ricondotti al campo così sazi e stanchi da passare tutto il giorno successivo a russare. Venne il turno di Ugo. Perché avevano scelto lui e non me? Aveva evidentemente un fisico più rispettabile del mio. Le custodi erano visibilmente irritate quando ritornò tre quarti d'ora più tardi. Aveva sul viso un'espressione poco leggibile. Non aveva l'aria svuotata come gli altri. Aveva conservato tutta la sua energia - un'energia piuttosto vivace, dato che non beveva mai di quella birra nella quale subodorava la presenza di un tranquillante. I suoi tratti portavano comunque tracce di fatica e di soddisfazione, ma di un'altra natura. Non provenivano da un appagamento che svuota; procedevano piuttosto da una lotta vittoriosa: «Ho pregato!», mi confidò col tremito di chi ha appena attraversare una prova. «Ho pregato la Madonna… Mi ha fatto di resistere… Mi ha dato la forza dell'impotenza!». Afferrai subito il senso di quell'ossimoro. Le Venidri si concepivano come intimamente unite alle energie primitive del sole e della terra. Il loro ventre da solo era capace di far germogliare l'uomo. Ciononostante, il migliore dei campi, pure se già ricco nel suo seno di tutti i semi, ha bisogno delle gocce della pioggia. Senza la pioggia, il sole può brillare quanto vuole, la terra, essere fertile, ma il frutto non matura. Conveniva dunque fare scorte di acqua piovana. Era la finalità del nostro club di vacanze. Queste donne ci curavano come si curano i verri riproduttori. L'ho visto una volta in un documentario sull'allevamento – o sulla “zootecnia” per adoperare il termine esatto. La biogenetica ha inventato maiali così grossi che non possono più montare le loro femmine. Se ci riuscissero morirebbero subito di infarto, tanto sono sviluppati per fare carne e non attività fisica. Le inseminazioni non possono dunque che essere artificiali. Il prelevamento del seme si effettua generalmente a mano. Quel documentario, molto didattico, mi insegnò l'esistenza di numerosi mestieri simili tra loro. “Masturbatore di tacchini”, per esempio. L'attività è stagionale. Si pratica verso la fine della primavera, per avere tacchini per Natale. Stavano venendo a cercarmi. Il Cielo mi avrebbe concesso la “forza dell'impotenza”? Ero così piacevolmente sprofondato nella mia debosciaggine che la cosa non mi preoccupava. La mia coscienza era ormai un asciugamano da spiaggia con le iniziali dell'hotel, o un vecchio strofinaccio consumato. Consideravo la cosa con curiosità, senza desiderio né avversione, come quelle escursioni facoltative che si possono aggiungere al pacchetto turistico. Più del piacere desideravo l'inebetimento, l'estenuazione che mi avrebbe precipitato in un sonno senza sogni. Ugo pensava ancora a evadere. Una sera, ritornò tutto affannato da una nuova ispezione. Non era solamente la corsa che lo faceva ansimare – fenomeno abbastanza raro nel campo, se non per le lumache – ma una scoperta stupefacente: «Il portale principale! Il portale non è mai chiuso! Non siamo in una prigione! Siamo in un… sì… in una specie di pollaio! Ci chiudono per proteggerci… affinché ingrassiamo… Ma basta voler uscire, si abbassa la maniglia, ed eccoci fuori, fratello mio! Nessuno ce lo impedisce! Possiamo partire!». «Per andare dove?», gli ribattei con un piccolo sogghigno nervoso. Cominciava a dubitare, ma non riusciva ancora a disfarsi completamente della sua assurda fiducia in me: «È vero… Siamo venuti per annunciare il Vangelo, potremmo farlo qui, e tu fai già molto per adattarti ai costumi del campo…Ma perdonami… io ci ho provato…». «Non mi hai capito, fratello. Voglio restare. Non per la Buona Novella. Sono stanco, ecco tutto… Non andiamo da nessuna parte. Perché non restare qui?». Alla fine spalancò gli occhi e lasciò pendere il suo labbrone: «Ma… tu hai dato la tua vita a Cristo!». «Ebbene che se la tenga! Mi accontenterò di essere un involucro senz'anima!». Le sue sopracciglia si contrassero, il suo grosso labbro si mise a tremare: «Non puoi! Non puoi sprecare il tuo tempo in bagni con le bolle e tornei di invertebrati!». «Così fanno le marionette…». «È la droga che hanno messo nella birra! Oh! Scusami, fratello… la carità mi ci costringe… la carità mi spinge…». Ultima immagine: il suo pugno destro che si chiude. Il colpo partì così rapidamente che non lo vidi arrivare. Vidi in compenso, molto distintamente, le stelle. Dopo di che sentii che mi portavano via come un sacco di patate.
(31, continua. Traduzione di Ugo Moschella)
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