«Le cose sono due: lacrime mie o lacrime tue». È il ritornello di una canzone molto ascoltata che racconta di un amore appena nato, ma già finito male. Parole che si sposano perfettamente a un periodo della stagione sportiva in cui abbiamo visto lacrime a fiumi, al temine di tante finali. È proprio così: al fischio finale della partita decisiva, quella per la quale hai lavorato per un’intera stagione, le cose sono due: lacrime mie o lacrime tue. Qualche volta anche lacrime di tutti e due, indistinguibili fra felicità e frustrazione. Lo abbiamo visto nelle tre finali europee perse da Fiorentina, Roma e Inter, nella finale del Mondiale under 20 fra i nostri azzurri e l’Uruguay, nello spareggio per evitare la retrocessione in serie B fra Spezia e Verona e in quello per salire in serie A, fra Cagliari e Bari. In ciascuna di queste partite nel momento esatto del fischio finale si incontrano due situazioni simmetriche: i vincitori abbracciati (tendenzialmente in gruppo) a piangere di gioia e lì, a pochi metri di distanza, uno (tendenzialmente da solo) degli sconfitti a piangere di rabbia. In particolare, domenica sera, abbiamo visto piangere di felicità un signore settantunenne, Claudio Ranieri, abbracciato a un suo collaboratore: il suo Cagliari, segnando un goal al novantacinquesimo con un giocatore da lui messo in campo pochi istanti prima, con un’intuizione al limite del visionario, aveva appena battuto il Bari di fronte a 60.000 spettatori avversari, strappando loro la serie A. Ranieri è passato alla storia del calcio mondiale per l’impresa, al limite del fantascientifico, di vincere la Premier League con il Leicester, una squadra che i bookmakers inglesi (gente che se intende) quotavano, prima dell’inizio del campionato, 400 a 1. Tuttavia, anche quell’impresa indimenticabile va letta alla luce di una data importante per Ranieri: il 14 novembre 2014. Quel giorno la nazionale greca, guidata dal CT Ranieri, perdeva una clamorosa partita in casa, nello stadio del Pireo, per 0-1, dalla nazionale delle isole Fær Øer. Una vera tragedia (sportiva) greca, piena di soloni che sentenziavano come giudici della Corte di Cassazione. Ranieri? Per tutti un perdente, un allenatore irrimediabilmente finito. Il Presidente della federazione calcio greca, licenziandolo, disse: «Il peggior Commissario Tecnico della storia del calcio». Ranieri aveva 63 anni, avrebbe potuto arrendersi al giudizio comune, auto-pensionarsi, togliere il disturbo a un mondo con il quale (oggi come allora) sembrava avere così poco in comune. Invece meno di due anni dopo trionfava in Premier League. Anche in quel caso, avrebbe potuto lasciare con una dolcissima “vendetta” sportiva e invece avanti, con progetti più o meno importanti fino alla chiamata del “suo” Cagliari, raccolta quasi per riconoscenza, regalando l’ennesima impresa.
Ecco perché quelle lacrime raccontano tanto di questo tecnico e uomo straordinario. E raccontano tanto, ma pur qualcosa in meno, del gesto immediatamente successivo a quel lungo commosso abbraccio. Perché un attimo dopo era già sotto lo spicchio di tribuna dello stadio di Bari destinato ai tifosi cagliaritani, a sbracciarsi per chieder loro di fermare immediatamente il coro di sfottò che era partito nei confronti di quelli baresi. Solo un uomo che ha conosciuto il gusto amarissimo della sconfitta, può diventare, in campo e fuori, uno straordinario esempio di rispetto e di cosa sia la mentalità vincente.
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