«Non essere amati è una semplice sfortuna; la vera disgrazia è non amare». Con questa lapidaria affermazione Albert Camus, una delle voci letterarie più intense del Novecento, coglie certamente una verità universale ma anche, implicitamente, il tarlo che rode quel secolo. Ricco di imprese e opere grandiose, è però molto spesso segnato dal «mal di vivere»: «l'età dell'ansia», degli «uomini vuoti» secondo le immagini memorabili di alcuni grandi poeti novecenteschi. Analogamente agli spiriti veggenti nel presente attraverso l'eterno, Camus individua nella mancanza di amore, nel non saper, o non voler amare, la tragedia più profonda. Assoluta, poiché percepita vividamente nel suo tempo, la mancanza d'amore è una triste realtà che nasce con l'uomo, con l'amore stesso, rispetto al quale si prospetta come il demone distruttivo del nulla. L'affermazione è paradossale, poiché Camus è ben consapevole che la prima condizione, quella di chi non è amato, non è certo invidiabile: ma si tratta di sfortuna, non di vera disgrazia. Chi non è amato può amare, e quindi riempire il vuoto che ingiustamente subisce la sua vita. Ma chi non ama è fuori dalla vita, gli è preclusa ogni gioia, e addirittura la percezione umana della sofferenza: che consiste nel resistere, sperando, non nel subire con apatia.
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