venerdì 21 settembre 2012
«I draghi non sono abitanti di un mondo umano esterno, bensì del mondo umano interiore. Tuttavia, poiché non vengono riconosciuti in quanto tali, essi vengono proiettati su figure del mondo esterno». In un libro importante sul tema del drago, il pensatore protestante Uve Steffen indaga la realtà di questo mito. Il drago in quanto tale in effetti non è mai esistito: nasceva con la sua forma, la sua bocca eruttante fuoco, nel nostro inconscio. Assunse subito sembianze di un grande rettile: il nemico principale dei nostri antenati, i primi mammiferi. Nel suo mito l'uomo rappresenta le forze distruttrici latenti che agiscono in noi, energie ineludibili, ma da controllare, vincere, sottomettere. Pensiamo ai tanti cavalieri e santi che sconfiggono il drago apparentemente invincibile, con le sue varianti: la balena bianca Moby-Dick, i mostri che la letteratura e il cinema inventano. Per dare una fisionomia alle forze negative che agiscono nel suo mondo interiore, l'uomo raffigura il drago. Salutare, e necessario. A patto che le fattezze siano quelle del mostro immaginario, non quelle dell'uomo la cui cultura non comprendiamo, la cui vita mette in crisi nostre certezze: i dittatori e i fanatici hanno sempre attribuito al drago il volto del nemico. Li capisco, in fondo: per vergogna del loro volto, per celarlo.
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