Ho cercato sul web le foto dei feriti evacuati dalla Azovstal. Ci pensavo da tanto, volevo vederli, rinati dal buio. La prima immagine: un ragazzo in barella, gli occhi chiusi, la mano sulla fronte, stremato. Nella linea degli occhi, della barba, ho ritrovato con un sussulto uno dei miei figli. (Lo sapevo, lo sapevo, che laggiù c'era anche uno che somigliava a voi).
Ma, c'era dell'altro. I pantaloni a un ginocchio lacerati: una gamba ferita, rotta, amputata? La mano sulla fronte e le labbra, cianotiche. Mi è tornata negli occhi un'opera di El Greco, El entierro del Conde de Orgaz, in una chiesa di Toledo. C'ero entrata, ragazza, senza saperne niente, ma avevo dovuto fermarmi, soggiogata: nel volto bellissimo e livido del giovane Conte deposto nella tomba c'era la morte, come non l'avevo mai vista. Non una morte, ma la morte. E sì, benché quel ragazzo in barella, spero tanto, sia salvo, appena uscito dalla notte della Azovstal aveva in faccia l'alito di quella medesima morte. Che è poi il volto di Cristo, in mille Deposizioni e Pietà nelle chiese d'Occidente: gli occhi chiusi, il pallore, l'abbandono della testa. Sì, questo affiora come un'ombra nel viso del ferito della Azovstal. Mi pare di sentire, nell'affermarlo, dei lazzi: "Cristo, quello? Quello, è un nazista". Non so chi sia, quel ragazzo. Ma so per certo che ogni uomo agonizzante è, esattamente, il volto di Cristo.
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