Esercitare il diritto di critica, crediamo che sia cosa buona e giusta, se si vuole mantenere in vita il diritto all’informazione. Trovo quindi comico, ma assai poco troisiano (sinonimo di geniale per chi scrive) l’attacco di alcuni, presunti, tifosi napoletani, a questa rubrica, solo per aver criticato lo spirito da “capo ultrà” manifestato dal presidente Aurelio De Laurentiis, il quale durante la festa scudetto rivendicava titoli usurpati al suo Napoli, in Italia e in Europa. Non faccio fatica a pensare che quei permalosi leoncini o lions da tastiera siano quegli stessi masanielli della fronda anti-De Laurentiis che, anche all’inizio di questa stagione trionfale, lo apostrofavano con termini
non riproducibili su questa colonna, perché si confonderebbe con la colonna infame che per mesi aveva spedito il patron del Napoli all’inferno. Non siamo qui per guastare la festa meritata della squadra di Spalletti, ma semplicemente per ribadire che la violenza verbale è cosa ben diversa dalla critica ad atteggiamenti, frasi e omissioni, non consoni al massimo dirigente di un club di Serie A. Il De Laurentiis cinepresidente del Napoli e produttore cinematografico, è sicuramente molto meglio della versione ultrà che ha offerto alla Repubblica fondata sul pallone. Di certo è esemplare l’immagine che ha dato di sé nell’intervista di ieri concessa al direttore di Repubblica Maurizio Molinari in cui si proclama «nuovo rivoluzionario» del sistema calcio. Bene, allora caro De Laurentiis, cominci ad essere proprietario di un solo club, il Napoli, e non di due, il Bari è un’altra azienda che fa capo alla sua famiglia e questo vale per tutti i suoi colleghi rivoluzionari. Ricordiamo inoltre al cinepresidente che il vero tifoso si esprime anche con l’arte, come fa da sempre il regista napoletano e premio Oscar Paolo Sorrentino. L’uomo in più, e È stata la mano di Dio (e non di Aurelio come abbiamo titolato in tanti) sono due film che rendono omaggio alla grande magia, ma anche alle miserie e gli splendori, del calcio.
Ed è stato bello nel momento della festa popolare di Napoli vedere Sorrentino emozionato, come quel ragazzo che era negli anni ’80 - il protagonista di È stata la mano di Dio - quando con il fratello andava a vedere gli allenamenti del grande Diego Armando Maradona -. Braccato da Pierluigi Pardo, come Giampiero Galeazzi fece con Maradona il giorno del primo storico scudetto (1987), Sorrentino alle telecamere di
Supertele
(Dazn) ha confessato che il mestiere dell’allenatore gli sarebbe piaciuto farlo «perché è simile a quello del regista, ma non sopporterei tutte quelle interviste penose con le stesse domande dopo ogni partita. Almeno noi registi le facciamo ogni due anni quando esce il film». Sorrentino è uno di quei milioni di napoletani che si sentono campioni d’Italia in pectore, ma lavorano, vivono e mangiano anche il giorno dello scudetto. «Ho saltato la cena dopo che il Napoli ha vinto il tricolore? No. Non salto mai un pasto, vorrei che questa frase fosse scritta sulla mia tomba». Forse, la grande bellezza del tifare per una squadra sta tutta qui.
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