Davanti a casa mia, da bambina, c'era un lunapark. Quando mio padre, raramente, era a Milano, mi ci portava. Il profumo di zucchero filato e caldarroste si allargava nelle nebbie d'autunno. A me piaceva la Casa delle streghe, dove nel buio spettri e ombre luminescenti ti sfioravano. Ma mio padre voleva andare alla Battaglia spaziale, navicelle legate a un braccio meccanico che combattevano finché ne restava, in alto, vincente, solo una. Si metteva ai comandi e combatteva davvero, gridava di gioia quando abbatteva un avversario. Mi meravigliava, che si divertisse tanto in un gioco.
Sono tornata in un lunapark trent'anni dopo, con i bambini. Gardaland, una giornata torrida. I figli mi trascinarono da un'attrazione all'altra, io li seguii ovunque, stordita dal caldo, docile. Poi mi portarono in un padiglione dove una vetturetta si proiettava velocissima su una pista ripida e circondata dall'acqua, che a ogni curva ci annaffiava in un'onda. Uscimmo fradici, frastornati, ridenti, e fui io, a dire: rifacciamolo subito.
Mi divertii come una bambina: bambina per un giorno, grazie ai figli. E ripensai a mio padre che combatteva, serissimo, la Battaglia spaziale, infervorandosi nel duello. Ero io, accanto a lui, che gli permettevo di tornare ragazzo: in un tempo magicamente capovolto, fra padri e figli.
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