È stato una mattina che dormivo ancora, alle otto, stordita da un antidolorifico dopo una notte insonne. Il figlio maggiore è venuto a salutarmi: mi ha dato un bacio ed è andato. Mi sono riassopita. Poco dopo, la figlia è venuta ad abbracciarmi, prima di andare a scuola. Ho aperto gli occhi, l'ho vista sorridente, e stavo per riaddormentarmi quando è affiorato alla coscienza il sogno che avevo fatto nel breve lasso di minuti fra il saluto di Pietro e Caterina.
Fra loro due si era presentata, nel sonno, un'altra visitatrice. Mia madre, allora morta da un anno. L'avevo vista sciupata, sofferente, stretta nella vecchia vestaglia che portava in casa negli ultimi anni. Stava in piedi accanto al mio letto, immobile, e non diceva niente. Ma gli occhi, i suoi occhi chiedevano, imploravano qualcosa. Quello sguardo da mendicante mi sezionò il cuore. Voleva solo, capii, che la abbracciassi. In quell'istante però, nel sogno, io fui cosciente che era morta: e ebbi paura. Allora lei scomparve, e il sogno finì.
Mi risvegliai del tutto, scossa da quel volto caro dall'apparenza così vera. Mi prese il rimpianto. Come avrei voluto poter tornare indietro, e abbracciare mia madre. Poi tante volte, prima di addormentarmi, le ho chiesto: torna, non avrò paura. Ma lei non è tornata. Io ancora la sto aspettando.
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