Un amico dice che suo padre, ex prigioniero nei lager, non parlava mai di quei giorni. Un denso silenzio sembra venire steso sulla memoria, dai reduci delle guerre peggiori.
Non si vuole ricordare. Una sola frase, come sbalordita, si lasciava sfuggire ogni tanto quel padre: "In guerra, gli uomini diventano capaci di cose che non avrebbero mai immaginato di fare".
Forse anche i soldati che si sono accaniti sulla gente di Bucha erano, due mesi fa, uomini come gli altri, un po' buoni e un po' cattivi. È interessante ciò che raccontano i tecnici di Chernobyl (la ex centrale venne consegnata agli invasori già il 24 febbraio, per evitare una catastrofe). Dicono a Chernobyl che, all'inizio, gli ufficiali russi erano calmi e ottimisti: l'avanzata procedeva spedita. Ma dopo le prime imboscate, i primi compagni caduti, sono cambiati. La percezione di una sconfitta, l'umiliazione, la rabbia - la voglia di vendetta. È una febbre la guerra, una ubriachezza?
I soldati di Bucha, facilmente impuniti, tornati a casa forse sembreranno uomini normali. Si sposeranno, lavoreranno, giocheranno a pallone. Di "quelle cose" non parleranno, nemmeno con gli amici.
Magari un giorno, vecchi, soli su una panchina, non sapranno più, nella demenza, se i fantasmi che li inseguono sono incubo, o realtà. Ma no, non è possibile: certe cose, si diranno, io non le avrei fatte mai.
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