Ottica locale e scarsa propensione a cercare nuovi mercati di sbocco oltre che nuovi canali di commercializzazione. Sono questi i tratti principali della fotografia che l'Ismea (l'Istituto per i servizi ai mercati agricoli), ha scattato al comparto della macellazione delle carni in Italia. Si tratta di una situazione delicata, che merita di essere analizzata da vicino, visto anche il rilievo che può avere nei confronti del mercato finale.
Partiamo dalle prospettive di crescita per il futuro. Stando alla ricerca Ismea (che si è basata su un panel rappresentativo di aziende del settore), gli operatori che lavorano carni fresche e prodotti pronti non hanno nessuna intenzione di acquisire nuove quote mercato. Leggermente diversa, invece, la situazione per chi produce trasformati di carne cotti. Circa le ricerca di nuovi canali commerciali, la situazione non cambia: al massimo, si pensa a potenziare quelli già esistenti. Il motivo di uno "stallo" di questo genere, deriva dalle condizioni stesse in cui la produzione viene svolta.
Da una parte, infatti, le aziende di trasformazione hanno a che fare con fornitori quasi sempre frammentati e dispersi, dall'altra, la stessa loro clientela risulta essere diffusa sul territorio nazionale. Basta qualche dato per capire meglio. Nel caso degli animali vivi, per esempio, il numero di fornitori è sempre superiore a 20 (nel 33% dei casi si arriva a livello oltre 50). La gran parte della materia prima, poi, arriva da allevamenti locali. Una situazione analoga è stata riscontrata circa il cosiddetto portafoglio clienti. Tutte le imprese coinvolte nell'indagine dell'Ismea, hanno più di 50 clienti, ma la quota di fatturato coperta dai primi tre non arriva al 20%. Relativamente ai canali di commercializzazione, invece, la gran parte dei prodotti della macellazione viene assorbito dalla Grande Distribuzione Alimentare che, nel caso delle carni fresche supera il 50% e arriva al 100% per i prodotti a base di carne trasformati e cotti.
Ma quale spiegazione è possibile dare a tutto ciò? Sostanzialmente, le prospettive che le imprese agricole si danno per il futuro derivano dalla situazione di oggi e dalle tipologie di prodotto. Non è un caso, infatti, che ad avere gli orizzonti di sviluppo più limitati siano proprio le imprese che lavorano carni fresche rispetto a quelle attive nel settore dei prodotti confezionati.
Ma il problema è probabilmente un altro. Ancora una volta, infatti, uno dei comparti più rappresentativi e importanti dell'agroalimentare italiano, si trova ad aver a che fare con strutture produttive ancora ferme a concezioni vecchie di filiera, costrette a fare i conti con troppi fornitori e canali di commercializzazione in grado di dettare le condizioni di mercato al di la' delle effettive qualità del prodotto. E, a ben vedere, è proprio questa la "palla al piede" che frena ancora oggi la corsa alla crescita dell'intero sistema agroalimentare del Paese.
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