«Spesso tutte le cose mi appaiono piccole, la mia mente sembra soffrire nel guardare e nel conoscere qualcosa di grande, qualcosa di uno e indivisibile, ed è soltanto nell'ambito di questa fede che rocce o cascate, montagne o caverne, mi danno il senso del sublime o della maestà. Ma in questa fede ogni cosa simula l'infinito!».
In questa lettera a un amico il poeta Samuel Taylor Coleridge, autore del capolavoro La ballata del vecchio marinaio, dispiega l'anelito dell'anima all'infinito. Non parla dei suoi versi o di poetica, ma di come vive e sente il mondo, della realtà spirituale come desiderio, e quindi sofferenza. Sentire il limite di ogni cosa, percepire piccolo tutto ciò che riguarda la vita umana, è motivo di dolore. Ma un dolore che non si chiude in se stesso, non si auto compiace affatto. Al contrario lo spirito si lancia verso l'infinito, animato da una fede che crea una scoperta meravigliosa: ogni cosa è piccola soltanto perché simula l'infinito. Che quindi è qui, in noi, attorno a noi. Infatti, prosegue nell'epistola, trabocco, fisso il passaggio che diviene incorporeo, vivente, che agisce sulla mente «con le gamme dell'Onnipotente quando fa percepire agli Spiriti la sua presenza».
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