L'altra sera ho riletto l'omelia delle nozze di nostro figlio. “Perdonatevi sempre – diceva il sacerdote –. Il perdono è il più grande miracolo di Cristo. Il perdonarsi permette ogni volta di ricominciare. Dalla distruzione del male, il perdono ricrea”. E citava Agostino: «Misericordia sua ante te vidit, quam tu eum cognosceres»: la sua misericordia ti vide, prima che tu Lo conoscessi. Don Antonio, ancora giovane, è morto un anno fa. E le sue parole ora mi sembrano cariche di profezia. A mio marito e me, la necessità di perdonarci non era stata ben spiegata. L'abbiamo imparata urtando nei muri del rancore che, senza perdono, si accumulano. E forse è un bene, che ci urlassimo in faccia, da giovani: almeno non eravamo una di quelle case beneducate in cui apparentemente tutto è in ordine, e nel silenzio l'ostilità cresce. “Perdonatevi sempre”. Ce n'è ogni giorno, di cose da perdonare. Se credi di dimenticarle, si depositano come relitti su un fondale. L'acqua sembra calma, ma, sotto, è un cimitero. In casa mia, da bambina, nessuno perdonava nessuno. L'ho vista bene la distruzione, quando manca il perdono. Partendo dalle cose che paiono da niente: invece il rancore germina come una pianta invasiva. “Perdonatevi sempre”. Questo è il motivo per cui noi due (“Quanto durerà?” si chiedevano gli invitati al banchetto), dopo 31 anni siamo qui, insieme. Nessun merito, solo quel segreto.
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