C'era una volta, 3.300 anni fa sul Monte Baldo, che oggi troneggia tra il Veronese e il Trentino, un re. Il capo di una grande tribù di cacciatori. In inverno si rifugiavano in pianura, lottando contro il gelo e la fame. In primavera partivano per i boschi, a caccia di cervi. E di nemici: una tribù viveva nella valle vicina, e feroci erano gli agguati, e la celebrazione delle vittorie, sulla terra intrisa di sangue. Il re era ormai anziano, ingrigita la barba sulla mascella da lottatore. E pensosi certe sere i suoi occhi, che a tutti avevano incusso timore. Già il più forte dei figli superava il padre nella caccia: più agile di lui sulle rocce, nell'inseguire la preda. Una notte d'estate, la luna sorgente appena una falce, sotto a una stellata maestosa, il re allontanò il suo seguito. Voleva stare solo. Quanti nemici aveva trafitto e mutilato, la sua splendida spada di rame e di bronzo. La guardò, lucente nella luna nuova. Alzò gli occhi alle stelle. Si sentì come spinto a chinare il capo da una mano - ma da una mano buona. Allora con le sue braccia possenti piegò, con uno sforzo immane, l'impugnatura, e la depose a terra: offerta a un dio ignoto. La spada, trovata sul Monte Baldo, è stata presentata giorni fa a Palazzo Bresavola, ad Avio. L' impugnatura distorta indica, per gli archeologi, una resa, una offerta votiva. Fin qui la verità. Il resto è fiaba, o, forse in questo tempo di guerra, preghiera. (Le stelle, sono ancora quelle).
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