XXXIV Domenica Tempo ordinario – Anno B
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me? [...] Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Ma come? Non avevi detto che il tuo regno era vicino, piccolo quanto un granellino di senape però già qua sulla terra, che poi sarebbe diventato un albero alto e maestoso dove avrebbero risuonato i cinguettii degli uccelli? Non ci avevi detto che era nascosto in tre libbre di farina e che quei pochi grammi di lievito avrebbero gonfiato tutta la pasta, fermentandola e trasformandola in pane caldo e croccante? E non ci avevi insegnato a chiederlo quel regno nella preghiera al Padre, non avevi mandato i tuoi discepoli a due a due a proclamare che non bisognava più aspettarlo, che ormai era finita l’attesa e si doveva guardare non più in alto, ma intorno a noi per scorgerlo? Ci sono mondi e mondi: c’è il mondo del potere politico e religioso, dove chi governa ed è re schiaccia la massa, imponendo le sue verità; si fa dio sulla terra perché, per un re, Dio è colui che sottomette e spadroneggia, che usa la violenza dei suoi eserciti per vincere. «Se il mio regno fosse di questo mondo i miei servitori avrebbero combattuto...». Ma c’è anche un mondo, quello che porta Gesù, dove re è colui che si inginocchia davanti ai piedi sporchi dei suoi amici, un re che dà il pane invece di impossessarsene, che dà la vita invece di ordinare di toglierla, che libera dalla legge invece di comandarla. Un re che porta amore, non sottomissione, non violenza, non autorità; un re che non è un padrone, ma un servitore.
«Chi tra di voi vuole essere il più grande...» lo abbiamo letto qualche settimana fa, quando i discepoli discutevano sui posti di prestigio, quando anche loro, perfino loro che stavano con Lui da un bel po’, litigavano su chi dovesse sedere alla sua destra e chi alla sua sinistra. In che mondo vivevano? Nel mondo del potere o in quello dell’amore?
Ancora una volta Gesù capovolge le nostre certezze, inverte le rotte e ci spedisce dritti dritti a fare inversione di marcia: sono re, ma non voglio dominare nessuno, voglio liberare; sono un re e non sto sopra di voi a giudicare, ma in mezzo a voi, con voi, a costruire insieme a voi il mio regno, l’albero da cui si spiccherà il volo, il pane da spezzare per tutti. La perla preziosa da stringere commossi tra le mani.
Aveva detto di sé, e forse preferiva questa definizione, che Lui era il buon pastore, il pastore bello, quello che dà la vita; non come i mercenari che quando vedono arrivare il lupo scappano perché non gliene importa niente delle loro pecore. Ma quello che ci rimette la vita perché le ama.
La sola verità che Gesù ci ha portato, sulla quale è vano scrivere innumerevoli trattati filosofici, è la verità dell’amore, capace di morire per risorgere, più forte delle spade e delle lance, più sconvolgente di qualsiasi
potenza. Disarmata come il più piccolo granellino di senape,
fragile come
un Dio sulla croce. E allora non è più parola astratta, verità, ma si fa voce e carne: come potrebbe infatti l’amore non farsi carne, non farsi carezza, prossimità, bacio sui piedi, giustizia per gli ultimi, perdono per chi sbaglia?
Ci sono regni e regni, come ci sono mondi e mondi, tutti possibili, anche quello del nostro Dio umile e sognatore: un innamorato pazzo.
(Letture: Daniele 7,13-14; Salmo 92; Apocalisse 1,5-8; Giovanni 18,33-37)
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