È difficile perdonare davvero: quello che in una relazione ci ha ferito tende sempre a fissarsi in fondo al cuore. Nella lingua italiana la parola "ri-cordare" non fa riferimento alla mente, ma al cuore, proprio a sottolineare come ciò che colpisce "il cuore", la parte emotiva della persona, è anche ciò che mette in noi le radici più profonde. E non esiste una parola che indichi la cancellazione dal cuore: parliamo infatti di di-menticare, di cancellare dalla mente, come se cancellare dal cuore fosse una cosa impossibile. Per questo motivo, quanto più un' esperienza ci ha ferito tanto più è difficile da allontanare, e lo sforzo fatto per dimenticare non è in grado di cancellare fino in fondo le tracce lasciate nella memoria, anche quando riesce a nascondere i contenuti alla nostra consapevolezza: si dice allora che quell'esperienza è stata "rimossa", il che significa che pensiamo di averla dimenticata, ma che l'abbiamo solo spostata in una parte meno accessibile di noi, nascondendola persino a noi stessi. Rimuovere un contenuto, però, lo fissa e lo rende intrasformabile: questo spiega perché, a distanza di tempi anche molto lunghi, ciò che pensiamo di aver cancellato può ripresentarsi all'improvviso con violenza, accompagnato dalle stesse emozioni provate tanto tempo prima: sperimentiamo allora di non avere affatto dimenticato, perché ciò che ci aveva ferito brucia in noi come se fosse appena accaduto.
La memoria è una funzione centrale per l'essere umano, una funzione che sta alla base della percezione di identità. La memoria è legata all'esperienza: ogni volta che qualcosa ci colpisce, si formano nel
cervello tracce che progressivamente si intrecciano tra loro, in un infinito numero di possibilità. Si definisce così, poco alla volta, una struttura di esperienza che dà "forma" alla mente e che prende una propria stabilità. Ma l'aggancio della memoria all'esperienza dà ragione insieme della sua forza e della sua parzialità: ogni esperienza infatti è per sua natura sempre parziale, perché legata a un momento, a una situazione, a un contesto. Per questo possiamo dire che la memoria, fondamentale per essere e per conoscere, è anche inevitabilmente all'origine di un pre-giudizio su cose, persone e avvenimenti. Ogni volta che abbiamo a che fare con qualcuno, la relazione con lui è condizionata dalla memoria delle esperienze precedenti, buone o cattive, che abbiamo condiviso, e questo limita in noi la libertà di conoscerlo nella sua interezza e complessità.
Non è facile dare credito all'altro di essere qualcosa che va oltre la nostra esperienza, neppure quando si tratta delle relazioni più intime e personali, come il rapporto di coppia o il rapporto tra genitori e figli. Proprio a causa del funzionamento della memoria siamo portati a definirci l'un l'altro nel ristretto perimetro delle nostre variabili personali: lui/lei "è così" come noi lo conosciamo, senza possibilità di scampo e di cambiamento; e questo rende impossibile comprenderlo e, se necessario, perdonarlo.
Come dice Romano Guardini, «l'inizio di ogni comprensione consiste nel fatto che l'uno consenta all'altro la libertà di essere quello che è... che non lo guardi come un elemento del proprio ambito vitale... ma come un essere che possiede un centro originario, un suo ordine di vita, desideri e diritti propri».
Se vogliamo amare davvero, dobbiamo tenere aperti la mente, lo sguardo e il cuore, cercando di non rinchiudere chi amiamo nelle caselle ristrette di ciò che pensiamo di sapere di lui. E quando abbiamo motivo di perdonare, è necessario cercare di combattere i pre-giudizi imposti dalla memoria e lasciare all'altro, anche quando ha sbagliato, una rinnovata possibilità: quella di farci conoscere (o di farci ri-cordare) che il valore della sua persona va al di là del torto, anche importante, che ci ha fatto subire.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: