Se esiste un posto che, da sempre, ha scatenato la fantasia degli uomini, questo è senza dubbio il paradiso. Al di là della teologia, che pure è importante, anzi è fondamentale, per gli uomini e le donne che hanno attraversato la storia riuscire a immaginarsi come possa essere il paradiso ha probabilmente sempre significato, e significa, riuscire a dare immagine e contorni all'idea stessa di speranza. Uno sforzo, per dirla in altre parole, per arrivare ad avvicinarsi a qualcosa che nel «qui e ora» resta inavvicinabile, quasi incomprensibile. E che allora ci figuriamo come il luogo del riposo perfetto, della bellezza, il posto dove tutti i pensieri svaniscono, e non ci sono dubbi o preoccupazioni, dove non c'è più il brutto né il dolore, la sofferenza né la fatica.
Mercoledì scorso, nell'ultima delle catechesi incentrate sulla speranza cristiana, papa Francesco ha parlato proprio di questo, del paradiso e della sola volta in cui Gesù ne fa cenno secondo il racconto evangelico, quando sulla croce si rivolge al buon ladrone promettendogli di spalancare anche a lui le porte del suo regno. Un «miracolo» che si ripete ogni giorno, perché «davanti a Dio ci presentiamo tutti a mani vuote e ogni volta che un uomo, facendo l'ultimo esame di coscienza della sua vita, scopre che gli ammanchi superano le opere di bene non deve scoraggiarsi ma affidarsi alla misericordia di Dio». Quel Dio che è padre, e ogni volta aspetta il nostro ritorno; il padre che al figliol prodigo «chiude la bocca con un abbraccio».
Perché proprio questo è il paradiso. «Non un luogo da favola e nemmeno un giardino incantato - ha detto papa Bergoglio - ma l'abbraccio con Dio amore infinito», dove noi entriamo «grazie a Gesù». Nell'ora della morte ogni credente ripete a Gesù, come il buon ladrone, «ricordati di me». E, sempre, «Gesù è accanto a noi e ci vuole portare nel posto più bello che esiste perché nulla vada perduto di ciò che aveva già redento». Accanto a noi, Gesù, sempre, per «portare in paradiso anche ciò che in noi ha bisogno di riscatto», perché «tutto si compia e venga trasformato in amore».
«In quell'istante finalmente non avremo più bisogno di nulla, non piangeremo più inutilmente perché tutto è passato, anche le profezie, anche la conoscenza. Ma l'Amore no, quello rimane perché la Carità non avrà mai fine».
Impossibile allora pensare al paradiso se non nella chiave della fede, di quell'amore perfetto che è Dio. «La nostra vita - disse Giovanni Paolo II ai ragazzi di San Basilio l'11 marzo del 1979 - è un cammino verso il paradiso, dove saremo amati e ameremo per sempre in modo totale e perfetto». Paradiso che non è un «luogo fisico secondo le nostre concezioni» ma appunto un «luogo dello spirito legato alla comunione con Dio». Concetto questo ripreso e ampliato da Benedetto XVI nella sua enciclica Spe salvi, come «luogo dell'incontro con la misericordia di Dio».
La stessa immagine che già nel 2014 papa Francesco aveva utilizzato per descrivere «la Gerusalemme nuova». Il paradiso, aveva detto, «più che un luogo (è) uno stato dell'anima in cui le nostre attese più profonde saranno compiute». Il luogo in cui, insomma, «il nostro essere figli di Dio giungerà alla piena maturazione». L'unica, vera risposta alle «domande antiche, domande spontanee, che ogni uomo si pone», quando ci sarà «un cielo nuovo e una terra nuova, nel senso che tutto l'universo sarà liberato dal male e dalla stessa morte». Quando insomma, finalmente, potremo scioglierci nell'abbraccio del Dio di misericordia.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: