Per mettere la Peg, ossia il tubicino nella pancia per nutrirmi dall'esterno, è stato necessario un ricovero di otto giorni al Policlinico Gemelli di Roma, nel Centro Nemo. Da quando mi è stata diagnosticata la Sla, quattro anni fa, è stata la prima volta che sono stato ricoverato; tutto è andato liscio, non ci sono stati intoppi, né nell'intervento in sé né nei giorni successivi. E così è stata anche l'occasione per fare un “tagliando” completo, e rimettere a punto la terapia. Nell'occasione sono venute fuori anche un po' di cose curiose. Per esempio, una Tac prescritta per controllare le condizioni di fegato e pancreas – prima Tac fatta in vita mia – ha scoperto che il mio pancreas è sdoppiato, tipo lingua di serpente, che ho una milza accessoria (in pratica due milze), e infine che dalle parti dei reni, là dove ci dovrebbe essere un circolo arterioso, io ne ho due. E scusate se è poco.
Bizzarrie a parte, il risultato del tagliando è che nella mia dieta giornaliera di medicine ci sono diverse new entry. A parte una, l'eparina che è un'iniezione sulla pancia, le altre passano tutte attraverso il tubo della Peg, con uno schizzettone (si chiama proprio così, è una grossa siringa da sessanta millilitri), sciolte nell'acqua dopo essere state polverizzate in un trita-pasticche. Ce n'è per tutti i gusti: dall'eparina già citata ai gastroprotettori, dalle statine agli enzimi. L'obiettivo di tutto ciò è – a quanto ho capito – di evitare le (più che) possibili complicazioni legate al mio stato, a cominciare dalla forzata immobilità.
Come mi sento? Come uno di quei vecchi palazzi che, rimasti in piedi contro ogni logica dopo un terremoto, hanno tuttavia bisogno di essere puntellati in ogni modo possibile per evitare che crollino. Un palo là, un ponteggio qui, tutto si regge in un equilibrio molto precario, in attesa che si possa avviare un restauro come si deve perché il palazzo possa tornare a vivere. Nel mio caso particolare, in attesa che, chissà, da un giorno all'altro venga fuori una cura per la Sla che mi faccia guarire, o magari anche solamente – per me sarebbe già tantissimo, credetemi sulla parola – riguadagnare un minimo di autonomia. Sogni? Con ogni probabilità sì, lo so. Non l'ho neanche chiesto nella letterina che, dentro di me, come ogni anno, a Natale ho scritto a Gesù Bambino. Ma siccome sperare non costa niente, magari questo 2021 mi farà una sorpresa. Nel caso, vi terrò informati.
(46-Avvenire.it/rubriche/Slalom)
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