Le riscritture letterarie della vicenda di Cristo, talvolta debordanti nella fantasia, talvolta più fedeli al dato evangelico ma fecondamente geniali, abbondano nella storia della letteratura. Il vangelo secondo Pilato (San Paolo) di Éric-Emmanuel Schmitt è stato secondo Ferdinando Castelli, uno dei più grandi critici cattolici degli ultimi anni, tra i meglio riusciti sia a livello letterario e teologico. Il libro si presenta come un dittico in cui per primo parla Gesù in un soliloquio pronunciato la notte prima di essere condannato a morte; in seguito, una raccolta di lettere di Ponzio Pilato a un amico romano in cui il governatore della Giudea racconta la questione del «corpo sparito» di un certo rabbi Joshua. Tramite questo artificio letterario, Schmitt ci restituisce un doppio Gesù: quello che esce dalla propria voce e quello raccontato, nei suoi effetti post-pasquali, da Pilato. Al primo appartiene un'affermazione molto densa e che molto dà da pensare: «Il mio Regno ciascuno lo porta dentro di sé, come un ideale, una chimera, una nostalgia; ciascuno ha dentro di sé la sua intima pulsazione, il suo dolce desiderio. Chi non si sente figlio di un Padre che ignora? Chi non vorrebbe riconoscere un fratello in ogni uomo?». Figli di un Padre che ignoriamo: Gesù ce lo ha pienamente svelato.
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