sabato 22 ottobre 2022
Una trentina di anni fa spopolava in tutto il mondo un esilarante libro dell’umorista statunitense Arthur Bloch, intitolato “La legge di Murphy”. In esso l’autore, a partire appunto dalla “legge” di Edward Murphy (ingegnere aeronautico realmente esistito) che recita «Se qualcosa può andar male, lo farà», usava lo stile degli enunciati matematici e statistici per fare ironia sulle cose della vita di ogni giorno. Il tutto condito di corollari e postulati («Ogni soluzione genera nuovi problemi», «I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedir loro di nuocere»), e di leggi derivate. Tra queste non mancava la legge di Murphy (o di Fuller, a seconda delle versioni) sul giornalismo, che recita: «Più lontano succede una catastrofe o un incidente, più alto dev’essere il numero di morti e feriti perché faccia notizia». Detta così fa ridere, ma in realtà non c’è proprio niente da ridere. Perché è tragicamente vero. Che cosa succede nel mondo? Dove si muore di fame? Dove si combatte quella «terza guerra mondiale a pezzi» tante volte denunciata da papa Francesco? La verità è che non lo sappiamo, perché nessuno ne parla. Con la sola eccezione di “Avvenire” (non lo dico per dovere di bandiera, ma perché è vero), quando si parla di Africa, Asia, America Latina, giornali e televisioni attingono a piene mani nei luoghi comuni. O peggio ancora nella partigianeria, quella che presenta i migranti come “turisti” o “delinquenti”, che assimila la pace all’arrendersi, che camuffa la realtà. Così, nella migliore delle ipotesi, quel poco che sappiamo lo sappiamo solo per sommi capi, lo abbiamo orecchiato qua e là, senza ordine né consapevolezza. Ma il fatto vero è che, in realtà, non ci importa niente di quello che succede al di fuori del nostro piccolo mondo, ma proprio niente. Un’indifferenza che i cristiani non devono permettersi, né possono, come ha ricordato papa Francesco nel discorso rivolto ai giornalisti e ai collaboratori di “Mondo e Missione”, la rivista del Pime che quest’anno celebra i suoi 150 di vita. Un mensile, ha detto il Papa, che «nacque per rispondere a un’esigenza del popolo di Dio: tanti volevano leggere le storie dei missionari... e volevano anche conoscere i Paesi e le culture in modo diverso da quello più comune – a quei tempi intriso di mentalità coloniale – con uno sguardo cristiano». Se è vero che oggi le distanze si sono accorciate, è anche vero che «le “dogane” ideologiche si sono moltiplicate. E allora la sfida diventa ancora oggi andare proprio lì per far conoscere la bellezza e la ricchezza delle differenze, ma anche le tante storture e ingiustizie di società sempre più interconnesse e allo stesso tempo segnate da pesanti diseguaglianze». È necessario dunque «raccontare il mondo mettendosi dalla parte di chi non ha diritto di parola o non viene ascoltato, dei più poveri, delle minoranze oppresse, delle vittime di guerre dimenticate... Oggi tutti siamo preoccupati di una guerra qui in Europa, alla porta dell’Europa e in Europa, ma da anni ci sono guerre: più di dieci anni in Siria, pensate allo Yemen, pensate al Myanmar, pensate in Africa. Queste non entrano, non sono dall’Europa colta... Le guerre dimenticate sono un peccato». Questo per ricordare sempre «alle comunità cristiane che se guardano solo a sé stesse, perdendo il coraggio di uscire e portare a tutti la parola di Gesù, finiscono per spegnersi». E soprattutto «per dire a tutti che un mondo migliore è possibile, quando seguendo Gesù impariamo a tendere la mano a ogni fratello e sorella».© riproduzione riservata
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