XXV Domenica del Tempo ordinario – Anno B
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Meglio tacere, meglio far finta di non aver ascoltato e rischiare di passare per sordi piuttosto che sentirsi chiamare Satana, come era successo a Pietro. Le parole di Gesù sono dure, quasi le stesse di quelle dette la settimana scorsa: la via che prospetta il Maestro non è quella sognata, splendente e vittoriosa, ma una via aspra, dolorosa, che prevede perfino la morte: no, non è proprio quella prevista. Meglio concentrarsi su altro, meglio pensare a chi fra loro può ritenersi il più bravo, il più importante, facendo paragoni e soppesando qualità e difetti gli uni degli altri. Lui parla di un Dio che si consegna nelle nostre mani, tutto per amore, solo per amore e loro, come noi, si accaniscono a circoscrivere insignificanti spazi di potere. Lui indica fin dove si può arrivare quando si ama da Dio e loro, come noi, a creare sbarramenti e confini, chiusi nella piccolezza delle loro ambizioni. Vaglielo a far capire che l’amore è forte, ma che chi ama è debolissimo. Che pazienza, che infinita pazienza deve avere con quelle teste dure il Maestro, pronto a ricominciare ogni volta, a spiegare meglio, a cercare di far entrare in quei cuori un frammento del cuore di Dio. E allora eccolo a chiamarli tutti e dodici intorno a sé e a spiegar loro una nuova matematica dove per alzarsi bisogna abbassarsi, dove il primo è l’ultimo, il grande è il piccolo e le misure non sono quelle di sempre, ma quelle sovversive di Dio. Misure che ribaltano ogni logica umana, ogni razionalità e come sistema metrico viene adottato un bambino: “Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,4) come a ribadirci che le porte del paradiso sono basse, altezza di bambino, non di più. Come a dirci e ribadirci che forse Dio è un bambino entusiasta, con la sua voglia di creare e la sua sete di cose belle, curioso e leggero, mai statico ma sempre in continuo movimento. Al bambino non interessano le filosofie e i discorsi astratti, ma piuttosto fantasticare, immaginare, toccare le cose e lasciarsene sorprendere. Gli basta così poco: un tratto di matita ed è pronto a viaggiare. Non se ne fa niente dei titoli e delle onorificenze, ma cerca gli sguardi che vanno dritti al cuore, gli abbracci di chi gli asciuga le lacrime e lo fa sorridere. “Noi siamo i bambini del futuro” scriveva Bonhoeffer, l’infanzia è il nostro destino, non il nostro passato ed è uno scenario grande quello di diventare piccoli.
(Letture: Sapienza 2,12.17-20; Salmo 53; Giacomo 3,16-4,3; Marco 9,30-37)
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