La bambina bionda è fotografata di schiena, e sulla pelle chiara si legge: Vira, 10-11-19, e un telefono. È il tweet di una mamma ucraina, probabilmente sfollata o in fuga. Una che ha paura, nella confusione dei campi profughi, di perdere la sua bambina. Vira ha due anni e mezzo - l'età in cui, con un bambino, non puoi voltarti un istante. Forse la madre ha già provato per un momento, nel caos, a non vedersela accanto? (Quel tuffo nel petto, come se il cuore pesantemente precipitasse giù, di piombo, inerte). Ma Vira, era lì dietro. Il cuore della madre, tornato al suo posto, aveva ripreso a battere.
Nelle lunghe notti tra gli sfollati la madre si stringe alla figlia, ma stenta ad addormentarsi. Si sente raccontare di bambini scomparsi. Presi, chissà da chi, e perché.
Allora la mattina con un pennarello la donna traccia sulla schiena di Vira nome, e un telefono - se mai lei, la mamma, non ci fosse più. “È un nuovo gioco, ti scrivo sulla schiena…” Il pennarello le fa il solletico, la bambina ride.
La paura delle madri. L'ansia per fame e freddo, per la fronte che scotta, mentre bisogna andare: io penso che da ogni folla di profughi, in tutto il mondo, salga questa nuvola gonfia di dolore. Non la conoscono i maestri della guerra, né i soldati che infieriscono sugli inermi. Non hanno figli, questi uomini, possibile? O chi li acceca, se in quei bambini non sanno riconoscere i loro?
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