Era come un gallo che pensava che il sole sorgesse per sentirlo cantare.
Quasi tutti i lettori del "Mattutino" conoscono Thomas S. Eliot, uno dei massimi poeti del '900, perché spesso è stato evocato nelle nostre citazioni. Pochi certamente sanno, invece, chi sia George Eliot, pseudonimo di una scrittrice inglese dell'Ottocento, molto nota in patria per il romanzo Middlemarch (1871-72), dal nome di una cittadina immaginaria della provincia, storia di due matrimoni infelici. È da quest'opera che estraggo una battuta sarcastica che colpisce un personaggio terribilmente egocentrico, simile a un gallo pettoruto che lancia il suo grido solitario al sole,
nella certezza che sia lui a farlo sorgere perché ascolta la sua melodia.
L'italiano, lingua raffinata, è particolarmente sontuoso nel definire le sfumature della superbia: presunzione, immodestia, orgoglio, vanagloria, arroganza, sicumera, boria, alterigia, albagia, altezzosità, sussiego, sufficienza, tracotanza, supponenza, protervia, tronfiezza (e forse altro ancora"). Sì, perché la superbia ha infinite iridescenze, alcune anche tragiche. Ma ciò che la colpisce maggiormente è il ridicolo. Il borioso, che allarga la ruota del pavone e ingrossa la gola come un gallo che canta, inciampa spesso nella ridicolaggine, diventando buffo, macchiettistico, patetico. Purtroppo questo può capitare anche a persone intelligenti, la cui mente però si offusca con la vanagloria. E a proposito di quest'ultima vorrei finire coi famosi versi della Lumaca di Trilussa: «La lumachella della Vanagloria/ ch'era strisciata sopra un obbelisco,/ guardò la bava e disse: Già capisco/ che lascerò un'impronta ne la Storia».
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