O uomini, come siete tutti uguali alla vostra progenitrice Eva: ciò che vi è dato non vi attira; senza tregua il serpente vi chiama a sé, all'albero del mistero. Voi volete il frutto proibito, senza il quale il paradiso per voi non è paradiso.
Non avevo mai letto Eugenio Onegin, il romanzo in versi che il grande poeta russo A.S. Pu"kin (morirà in duello a soli 38 anni!) compose nel 1831, storia di un giovane ricco, egocentrico, pronto a calpestare l'amore sincero di una donna, Tatiana, per superficialità e arroganza. Spesso noto che lo scrittore cerca di aprire la sua pagina a considerazioni morali, come quella che oggi cito. Il "frutto proibito" è diventato un luogo comune, desunto dal famoso racconto dei capitoli 2-3 della Genesi, per indicare una norma che si vorrebbe calpestare per ottenere un piacere immediato.
È l'illusione di entrare in un paradiso vietato; il risultato è quello di trovarsi con l'amaro in bocca in una landa desolata. Abbiamo la possibilità di essere felici o almeno sereni seguendo la strada retta, e, invece, ci inoltriamo su piste secondarie accattivanti ma senza sbocco. Ormai anche al bambino, con motivazioni pseudo-pedagogiche, non si vieta più nulla, lasciando che scorrazzi dove gli piace e gli pare e alla fine si ritrova senza una guida, senza uno scopo, senza una coscienza. Il serpente ci chiama senza tregua a violare la morale, illudendoci di essere in tal modo liberi e creativi, mentre alla fine ci troviamo più schiavi e più intontiti. Riscopriamo, perciò, il senso del limite e il rispetto delle regole giuste per essere persone autentiche.
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