mercoledì 7 agosto 2013
In un giorno d'inverno del 1523, uno strano personaggio sbarcò a Venezia da una nave che veniva dall'Oriente. Diceva di essere l'ambasciatore del regno ebraico di Habor, popolato di trecentomila sudditi. Accolto con diffidenza dagli ebrei del ghetto veneziano, si portò a Roma dove fu ricevuto dal papa Clemente VII e dal cardinal Egidio da Viterbo, dotto ebraista. Era latore di una proposta di alleanza del suo re ai principi cristiani in funzione antimusulmana. Andò per mare in Portogallo, allora privo di ebrei ma popolato fittamente di conversos, e fu da loro accolto come un liberatore. Scacciato dal re, timoroso che i suoi sudditi recentemente battezzati a forza tornassero a professarsi ebrei, finì i suoi giorni in Spagna nel 1538, su un rogo dell'Inquisizione spagnola, non prima di aver tentato, sembra, di convertire al giudaismo nientedimeno che l'imperatore Carlo V. Lasciò un diario in ebraico e molte memorie della sua avventura. Per i suoi seguaci, era il Messia, anche se a considerarlo tale furono solo i conversos, mentre gli ebrei italiani, da Venezia a Roma, mantennero su di lui e sul suo fantomatico regno un diffuso scetticismo. Ma incuriosì e affascinò i dotti, quelli cristiani più ancora di quelli ebrei.
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