sabato 8 dicembre 2018
Quando passavo da via San Marco, da bambina, traversavo la strada per annusare, dalle grate sul marciapiede, un alito di piombo: lì sotto c'erano le rotative del Corriere. Sul Corriere scriveva mio padre, e quell'odore per me era il suo odore. Un giorno, ancora piccola, mi portò a vedere i sotterranei dove la notte si stampava il giornale.
Entrai con soggezione, come in un tempio. Scendemmo scale ripide e anguste. Di colpo nella penombra mi si parò davanti, enorme, una rotatrice, in quel momento immobile. Mi sembrò un drago preistorico, i nastri metallici come spire. Pochi minuti e il drago sussultò, vivo: e in un fragore di catene si mise in movimento. Andava in stampa, a quell'ora, il Corriere di Informazione. Sui nastri correvano sempre più veloci i titoli cubitali, in un fracasso assordante.
Un vecchio tipografo mi chiese: come ti chiami? Si allontanò, tornò con in mano un pezzetto di metallo su cui aveva impresso, come fosse una firma: "Marina Corradi". Lo strinsi in pugno. Tra voci di operai e clangore di metalli, un'eredità mi era stata lasciata, come in un'officina artigiana. Senza saperlo, io già volevo appartenere al mondo di piombo del drago sotto via Solferino. Tanto può, fra padri e figli, un'ora appena insieme, uno spiraglio sulla vita dei grandi da cui affacciarsi, e sognare.
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