L'uomo è un apprendista, il dolore il suo maestro:/ nessuno conosce se stesso finché non ha sofferto.
Giorno del dolore, il Venerdì santo sembra riassumere in sé tutta la sofferenza del mondo. Il Cristo crocifisso è l'emblema di un tormento universale che fa guardare a lui credenti e atei, come diceva lo scrittore Alfredo Oriani: «Credenti o increduli, nessuno sa sottrarsi all'incanto di quella figura, nessun dolore ha rinunciato sinceramente al fascino della sua promessa». Ritorniamo, allora, anche noi su questa realtà che temiamo e da cui cerchiamo di evadere. In verità, il dolore non è solo maledizione ed è ciò che ci ricorda il poeta romantico francese Alfred de Musset (1810-1857) nella sua poesia "La notte d'ottobre", composta proprio quando egli era malato e provato dagli eccessi di una vita travagliata.
Il dolore è una sorta di maestro che ci purifica dalla banalità, dalla stupidità, dalla superficialità, riportandoci all'interiorità, alle realtà che veramente contano, alla coscienza, al senso della vita. Esopo, il celebre favolista greco, aveva coniato un giuoco di parole, pathèmata-mathèmata, "i patimenti sono insegnamenti". Ritroviamo, allora, la capacità di attraversare il territorio tenebroso della prova non con la disperazione nel cuore, ma con l'attesa di un'alba. Anche Cristo, pur gridando la sua estrema desolazione («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»), alla fine si placa nella fiducia: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Sarà ancora lo stesso de Musset a scrivere: «Nulla ci rende così grandi come un grande dolore».
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