Mentre la “Gaz-zetta dello Sport” ci informa che l'ultimo trend dei calciatori di Serie A è farsi una pizza dopo la partita (una novità epocale! Con tanto di foto di Mourinho che addenta l'esotica pietanza italica) scopriamo che la vita, di quelli che Giorgio Saviane chiamava i «mutandieri della domenica», fa degli strani rimbalzi. Sbagliare è umano, figurarsi per un lavoratore privilegiato dei campi di calcio, che spesso a vent'anni si ritrovano in una sola stagione i guadagni che i loro genitori non accumulerebbero in dieci vite. Nella settimana in cui il figliol prodigo fiorentino, Francesco Flachi, si rimette in gioco, al Signa 1914, facendo l'ennesima mea culpa («quei 12 anni di stop è stata solo colpa mia»), scopriamo un altro caso di dissipazione del talento, e qui siamo nell'area della “malvivenza calcistica”. Dopo il Diario di una Schiappa si potrebbe pensare a quello di Schiappacasse. L'attaccante Nicolas Schiappacasse, nel 2016 “The Guardian” lo inserì tra i più forti 60 talenti, classe '99, è di proprietà del Sassuolo, attualmente in prestito al Peñ
arol con diritto di riscatto. Ma prima deve riscattarsi da una storiaccia. A fine gennaio, era stato arrestato dalla polizia di Maldonado: trovato in possesso di un'arma da fuoco nella sua auto e delle pasticche stupefacenti. Palla prigioniera. Il ragazzo sta espiando, triste e solitario, nella sua cella. È risultato anche positivo al Coronavirus, non può ricevere visite da parenti o amici e dovrà stare in carcere fino al 26 aprile. La famiglia e gli avvocati hanno lanciato l'allarme: «Nicolas è molto depresso. Quando uscirà dal protocollo Covid e potremo vederlo, chiederemo assistenza medica per questo problema». Il “male oscuro” colpisce ancora. Il problema è che, al di là dell'iperconnessione mediatica e delle cascate di denaro, l'universo pallonaro è rimasto più o meno quello che denunciava negli anni '70 l'attaccante di lotte Paolo Sollier quando nel suo libro-manifesto Calci e sputi e colpi di testa (appena riedito da Mimesis) denunciava: «Il mondo del calcio è in ritardo rispetto al mondo reale». La depressione ha stroncato sul nascere la carriera, anzi stava per uccidere, il baby prodigio svedese Martin Bengtsson. A 18 anni, nel 2004, arrivò all'Inter con le stimmate del campione, un anno dopo era a un passo dal suicidio. Così, nel 2007, appena uscito dal tunnel scrisse la straziante autobiografia Nell'ombra di San Siro che poi è diventata la sceneggiatura del film Tigers. Un film che dovrebbe essere visto in tutte le scuole calcio, perché dentro c'è una grande verità: il giovane che non sta al passo con i ritmi talora disumani del professionismo rischia di perdersi. E a volte per sempre. Flachi, Ilicic, Schiappacasse... confermano quello che Bengtsson ha denunciato tanto tempo fa: «Nel calcio ci sono dottori per tutto, tranne che per la testa».
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