Il cuore ci aiuta a vedere ciò che i nostri occhi da soli non vedono. Ci permette di passare da un’osservazione veloce e superficiale della vita a quella forma di attenzione che è già in sé una pratica di ospitalità e di rispetto, poiché rende possibile un’etica della relazione. Il cuore ci stimola a trascendere le visioni semplicistiche e frammentarie, e ci prepara a gestire la complessità e l’integralità, che non dobbiamo temere ma anche a imparare ad abbracciare progressivamente. Ci sprona a lasciar perdere la rigidità che unicamente definisce e giudica, ma non ricostruisce; che cataloga affrettatamente con un’etichetta, invece di ascoltare in profondità; che dichiara qualcuno incurabile e perduto, mentre la chiamata che ci viene da Dio è a cercare e a salvare. Il cuore ci inizia alla sapienza di tenere in conto che la fragilità può rappresentare una leva; che la sofferenza può essere una forza; e che nelle stagioni spente del nostro viaggio si cela il fuoco. Così giungeremo a contemplare pazientemente come una cosa sola il visibile e l’invisibile, la sonorità della parola che ascoltiamo e la musica del silenzio che viene a visitarci, ciò che ci sembra ancora vuoto e ciò che crediamo essere già l’indiscutibile certezza di una presenza che ci accompagna e ci sostiene. Il cuore insegna allo sguardo a sbalordirsi dello smisurato spettacolo della vita – che è sempre possibile e nuovo.
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