lunedì 16 settembre 2024
Fino al 13 ottobre, al Museo Diocesano di Milano la retrospettiva sul primo fotoreporter di guerra. Trecento immagini a partire dall'iconico scatto in Sicilia, nel 1943. La storia di una leggenda
Contadino siciliano indica a un ufficiale americano la direzione presa dai tedeschi, vicino Troina, Italia, agosto 1943

Contadino siciliano indica a un ufficiale americano la direzione presa dai tedeschi, vicino Troina, Italia, agosto 1943 - © Robert Capa © International Center of Photography/Magnum Photos

È l’agosto del 1943, siamo nel cuore della Seconda Guerra Mondiale: mentre documenta la conquista alleata della Sicilia, nelle campagne fra Sperlinga e Troina, in contrada Ponte Capostrà, Robert Capa scatta una delle sue foto più iconiche. Un Contadino siciliano indica a un ufficiale americano la direzione presa dai tedeschi. Con uno stile che contraddistingue la fotografia documentaristica del primo, il più grande fotografo di guerra. È Robert Capa in effetti a indicare la direzione, la strada a generazioni di reporter e a mostrare a tutti noi una prospettiva altra, inedita. “La foto - ha scritto - è una sezione di un fatto, che mostra la realtà vera a chi non era presente molto più di quanto possa fare l’intera scena”. Grazie ai suoi occhi e ai suoi scatti, abbiamo potuto vedere la realtà, il suo presente divenuto per noi storia.

Una leggenda, Robert Capa, la cui figura viene ripercorsa fino al 13 ottobre in una mostra al Museo Diocesano di Milano dal titolo “Robert Capa. LʼOpera 1932-1954”, retrospettiva curata da Gabriel Bauret, con il patrocinio di Regione Lombardia e del Comune di Milano, promossa da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo in collaborazione con Magnum e prodotta da Silvana Editoriale (che pubblica anche il catalogo). L'esposizione, composta da 300 foto suddivise in nove sezioni tematiche, permette al visitatore di attraversare le tappe principali della carriera del fotografo di guerra, dagli esordi nel 1932 fino alla morte avvenuta nel 1954 in Indocina per lo scoppio di una mina, passando per diversi fronti. Il patrimonio di immagini che ci ha lasciato, ma anche il temperamento e le sfaccettature di un personaggio passionale e sfuggente, insaziabile e forse mai pienamente soddisfatto, che non esitava a rischiare la vita, come poi è accaduto, per raccontare i fatti. “Per me, Capa – scrisse di lui Henri Cartier-Bresson - indossava lʼabito di luce di un grande torero, ma non uccideva; da bravo giocatore, combatteva generosamente per se stesso e per gli altri in un turbine. La sorte ha voluto che fosse colpito allʼapice della sua gloria”.

Lungo il percorso del Diocesano si trovano immagini drammatiche come Morte di un miliziano lealista, fronte di Cordoba, Spagna, inizio settembre 1936, che per la prima volta, insieme agli scatti di altri fotografi professionisti inviati in prima linea e nelle città bombardate, documenta in senso moderno una guerra; ma anche fotografie di momenti di svago del Tour de France, luglio 1939, simbolo di una vita che si sforza di scorrere nonostante lo spettro della battaglia; gli esiti della Seconda Guerra Mondiale emergono in istantanee di morte e resilienza come in Un prete cattolico celebra la messa sulla spiaggia di Omaha, Francia, Normandia, giugno 1944, dove vediamo la liturgia svolgersi in un contesto estremo; la silenziosa e anonima sofferenza di Un uomo e una donna trasportano i loro averi in sacchi, Haifa, Israele, 1949 ricorda come ogni giorno il mondo sia solcato da tragedie che l'umanità - ora tanto piccola, ora invincibile - è chiamata ad affrontare. Foto, ma anche video e una registrazione sonora, l’unica esistente con la voce di Capa, trasmessa su “Hi! Jinx”, programma radiofonico nazionale della Nbc, in occasione dell’uscita del suo celebre libro Slightly out of Focus, Leggermente fuori fuoco, un racconto a metà fra romanzo e diario delle memorie di guerra.

Molte opere rimandano all’uomo più che al fotografo, a Endre Ernõ Friedmann, il suo nome di battesimo: ebreo ungherese naturalizzato americano, nato il 22 ottobre 1913 a Budapest e costretto a lasciare a 17 anni l’Ungheria, a causa delle sue simpatie socialiste. Nel 1931 Endre arriva a Berlino dove si fa strada alla storica agenzia Dephot, che l’anno seguente lo invia a Copenaghen a una conferenza di Lev Trotsky. L’accesso è vietato ai fotografi ma Endre riesce a entrare e a scattare, grazie alla piccola Leica che tiene in tasca: le foto finiscono in prima pagina. Con l’ascesa del nazismo in Germania, alla fine del 1933 Endre si sposta a Parigi, la città del suo destino. Qui conosce Henri Cartier-Bresson e David "Chim" Seymour, con i quali fonderà nel 1947 l’agenzia Magnum Photos, e Gerda Taro, sua compagna di vita e di fotografia, assieme alla quale creerà nel 1936 il personaggio "mitologico" di Robert Capa, narratore della Storia, quella con la S maiuscola. Quella che le porterà via proprio Gerda, un anno dopo mentre insieme testimoniavano in Spagna, la guerra civile.

“Continua l’impegno del Museo Diocesano per la grande fotografia - dichiara la direttrice del museo Nadia Righi - attraverso una mostra che, grazie allʼopera di un grande fotografo del secolo scorso, suggerisce qualcosa di interessante allʼuomo di oggi. Capa è un autore che ha 'bisogno di esserci' nella storia. Non si limita a documentare i fatti, ma si sofferma con uno sguardo straordinariamente empatico su volti e persone, mostrando un profondo interesse per lʼessere umano e aiutando ciascuno di noi a guardare ciò che accade in un modo nuovo e niente affatto scontato”. Gabriel Bauret, curatore della mostra, aggiunge: “Se le fotografie di guerra plasmano la leggenda di Capa, nei suoi reportage lo vediamo anche guardare la realtà da diversi punti di vista, concentrandosi su quelli che il fotografo Raymond Depardon definiva 'tempi deboli', in contrapposizione ai tempi forti che solitamente mobilitano l’attenzione dei giornalisti e richiedono loro di essere i primi e più vicini”.

Nei “tempi deboli” le storie personali emergono dalla Storia universale, e il singolo si manifesta in tutta la sua umanità. Con la consapevolezza che aveva Capa: “Non è sempre facile essere un testimone, senza poter fare nulla, se non registrare la sofferenza intorno a sé”. Un contadino siciliano (identificato poi in Francesco Coltiletti, di Sperlinga), nel deserto della Sicilia più impervia, indicava la strada a un soldato americano. Capa lo fa con tutti noi.

Una foto e 959 parole.

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