martedì 7 ottobre 2003
Lo scetticismo è un buon cane da guardia se sai quando mettergli e levargli il guinzaglio. Quelli della mia età ricordano con nostalgia la serie televisiva Nero Wolfe di oltre trent'anni fa, impersonata da quello straordinario attore che è stato Tino Buazzelli (1922-1980). Confesso di divertirmi a leggere i gialli e naturalmente quel famoso investigatore, pigro, raffinato gastronomo, coltivatore di orchidee, creato dalla fantasia dello scrittore americano Rex Stout (1886-1975), mi ha sempre affascinato.
Così, mi accade di prendere tra le mani - non l'avevo fatto finora - anche uno dei primi romanzi di quello scrittore, intitolato nella versione italiana La traccia del serpente, un'opera del 1934. Trovo una frase icastica - quella che ho sopra citato - su un tema piuttosto delicato, quello dello scetticismo. Il consiglio è buono e l'immagine suggestiva. Lo scetticismo non è solo un vizio o una moda che si oppone alla fede, alla fiducia, all'ottimismo. Può essere anche un sano antidoto alle baggianate, ai condizionamenti della propaganda o della pubblicità, ai luoghi comuni. È celebre l'osservazione di Chesterton, il noto scrittore inglese, secondo il quale da quando gli uomini hanno smesso di credere in Dio, non è che non credano più in nulla: credono invece a tutto, comprese le cialtronerie più esilaranti di maghi e ciarlatani vari. Tuttavia, come suggerisce Stout, è necessario saper dominare lo scetticismo, allungandogli o tirandogli il guinzaglio. Altrimenti si piomba in una diffidenza radicale, in una sfiducia e in un pessimismo che rendono tetra la vita, sospetto ogni incontro, dubbia ogni idea o realtà.
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